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Giugno 26, 2024
Giustizia Sociale

Perché abbiamo bisogno di comunità informate: il caso del Vallo di Diano

Approfondimento di Sara Manisera

Ci sono storie minuscole di r-esistenza che raramente appaiono sulle pagine dei giornali. Sono storie di persone comuni, che hanno scelto di non rimanere indifferenti di fronte alle ingiustizie e alle diverse forme di prepotente oppressione. Quella di RESTA - Rete ecologia, salute, territorio, antimafia - è una storia di cittadinanza attiva di un Meridione che non si piega alla rassegnazione ma che sceglie di gettare il seme nel solco presente della Storia. 

L'associazione FADA Collective, di cui faccio parte, incrocia questa minuscola storia di provincia già nel 2020. In quell'anno, RESTA ancora non era nata ma, a novembre 2020, il Vallo di Diano diventa protagonista di un enorme scandalo internazionale di rifiuti. Per chi non conoscesse il territorio, il Vallo di Diano è un’area pianeggiante della provincia di Salerno, racchiusa tra le dorsali appenniniche e il fiume Tanagro. Per la sua posizione geografica – tra la Basilicata, la Calabria e il nord della Campania, e per la presenza dell’Autostrada Salerno-Reggio Calabria – l’area svolge da sempre un importante ruolo di cerniera e di connessione. Queste caratteristiche l’hanno resa almeno da trent’anni appetibile alle mire espansionistiche ed egemoniche delle organizzazioni criminali campane e calabresi. Al tempo stesso, è un territorio aperto, vasto e spopolato, privo di presidi dello Stato e di forze dell'ordine. 

È dentro questo contesto che ha origine la vicenda. Da un piccolo paese di provincia - Polla - sono partiti 282 container di rifiuti destinati in Tunisia. Insieme al collega della stampa locale Pasquale Sorrentino e alla collega Arianna Poletti, basata in Tunisia, iniziamo a lavorare sulle carte. Arianna ed io siamo co-fondatrici del collettivo di giornalisti FADA, ci occupiamo di giornalismo d’approfondimento e partecipativo, con al centro i diritti, la giustizia sociale e l’ambiente. Assieme, contattiamo e parliamo con diverse fonti locali, in possesso di informazioni. Facciamo richiesta di accesso agli atti in Italia e in Tunisia, incrociamo i dati, incontriamo i dirigenti dell'azienda di rifiuti. Da quel lavoro giornalistico, escono le prime inchieste pubblicate su IrpiMedia in collaborazione con Rai News 24, Inkyfada, Domani e Repubblica. Il lavoro giornalistico porta all’apertura di un’indagine da parte di due procure della Direzione Distrettuale Antimafia di Potenza e Salerno. E tre anni dopo, ovvero a febbraio 2024, arrivano gli arresti di un funzionario della regione Campania e di diversi imprenditori del settore. 

Intanto il Vallo di Diano si sveglia ancora una volta con un caso di inquinamento ambientale. Il 12 aprile 2021, 7 persone sono indagate per traffico e sversamento illecito di 22 cisterne di rifiuti chimici in alcuni terreni. Non è la prima volta. Dalle carte delle indagini ritornano nomi legati da oltre trent'anni agli affari dello sversamento dei rifiuti: Luigi Cardiello e Raffaele Diana, entrambi coinvolti nell'inchiesta Mida, entrambi prescritti. 

Questa volta, però, la rassegnazione viene spazzata via dalla rabbia. Nasce RESTA, un grande esercizio di resistenza collettiva, che mette insieme esperienze decennali di lotte civili e ambientali e pratiche di attivismo intergenerazionale. Mentre RESTA porta avanti forme creative di mobilitazione, anche il lavoro giornalistico continua. Sempre su IrpiMedia, a luglio 2021, pubblichiamo un approfondimento sul Vallo di Diano che ricostruisce la presenza storica delle organizzazioni di stampo mafioso sul territorio. Nel 2021, è uno degli articoli più letti su IrpiMedia. Ci rendiamo conto che le comunità locali - di periferia o delle aree interne - hanno fame di buon giornalismo e di storie che raccontano un immaginario altro, tutto da costruire. Con la collega Arianna Pagani, sempre del collettivo FADA, realizziamo “La Terra mi tiene”, un documentario che racconta la storia di chi, proprio in questi territori dell’Appennino, sta provando a dare vita a nuove forme di economia civile e di agricoltura, a partire dal grano. Un’economia sana che tutela i diritti delle persone e, al tempo stesso, dell’ambiente. «Dobbiamo tornare a mangiare il nostro pane», dicono gli agricoltori protagonisti del documentario, seminatori e seminatrici di futuro. Un insegnamento prezioso arriva da queste aree marginali dove si pratica la resistenza. Mangiare il proprio pane significa seminare e coltivare il cibo, proteggere il territorio, dai prodotti chimici come dalle mafie, viverlo e presidiarlo. 

Dopo le inchieste giornalistiche, i documentari, la mobilitazione civile, arriva anche la ricerca accademica partecipata. Tra fine 2022 e il 2023 mi contatta Thomas Aureliani, ricercatore di Sociologia dell’Università degli Studi di Milano. Sta portando avanti una ricerca partecipata in alcuni territori dove c’è stato inquinamento ambientale, la presenza di organizzazioni di stampo mafioso e pratiche di resistenza e partecipazione civile. Immediatamente gli parlo di RESTA, delle fratture ecologiche del Vallo di Diano, dell’impunità di alcuni soggetti mafiosi e della giustizia mai arrivata in tutti questi anni. Aureliani accetta l’invito e pochi mesi dopo è nel Vallo di Diano a intervistare la rete RESTA. Da quell’incontro e dalle riflessioni serali di fronte al fuoco, nasce l’idea di organizzare il convegno sociale, “Crimini, danni e lotte ambientali: storie e voci dal Vallo di Diano”, una due giorni per sensibilizzare la società civile, i cittadini e le cittadini e le istituzioni sulla criminalità ambientale e le mafie, sui danni ambientali e le conseguenze per la salute e sui movimenti e lotte per la difesa dell’ambiente. Un convegno sociale supportato anche da Voice Over Foundation. 

Ed è sempre in questo percorso che al di là dei convegni e delle iniziative vive di relazioni umane costanti sul territorio, che si inserisce “Senza Segnale”, un progetto di giornalismo partecipativo che mira a riconnettere quei territori dimenticati dall’industria mediatica, diventando deserti informativi. Un progetto curato da IrpiMedia, con la collaborazione di FADA Collective, Indip, Dotz Media e il Centro di giornalismo permanente, costruito grazie al sostegno del LocalMedia4Democracy grant del Journalism Fund Europe, che dimostra quanto sia prezioso il cardine tra giornalismo cross-border e giornalismo sul campo, sui territori, dentro i territori.

Come giornalista ma soprattutto come cittadina che ha scelto di tornare a vivere proprio in queste aree interne del Vallo di Diano, nel paese da dove quarant’anni fa i miei genitori sono stati costretti a emigrare per migliorare le loro condizioni di vita, ho sentito l’urgenza di una restituzione ma soprattutto di un racconto. Ho parlato al gruppo e abbiamo così deciso di coinvolgere RESTA, perché crediamo sia necessario non solo ricostruire relazioni con le comunità locali e con le aree più interne e periferiche dove vi è un deserto mediatico, ma anche che tali comunità si debbano raccontare in prima persona. 

Per troppo tempo questi territori sono stati descritti come arrendevoli e sottomessi. Mai che si raccontassero e denunciassero le cause, le responsabilità di una classe politica e di un’imprenditoria feudale e predatoria. I miei nonni prima e i miei genitori poi sono diventati migranti perché non hanno accettato il compromesso: il posto di lavoro, una visita medica, una casa, un diritto scambiato come favore. Non avevano altra scelta: andare via. 

Scegliere di coinvolgere RESTA è stata, in qualche modo, una forma di restituzione dei sacrifici fatti dai miei nonni e da tutte le persone che sono emigrate. Un omaggio a chi è andato via e a chi ha scelto di restare e di resistere, mobilitandosi, attivandosi, provando a ricucire comunità, in paesi sempre più polarizzati e spaesati.

Da cittadina e giornalista che vive in questi luoghi “ai margini”, senza servizi, diritti e infrastrutture, spesso trasformati in discariche del Nord, ma al tempo stesso poco antropizzati e di una mirabile bellezza, mi sono resa conto che qui c’è ancora spazio per immaginare futuro. Ma per immaginare il futuro, c’è bisogno di attivarsi. E per attivarsi, è fondamentale informarsi. Le due cose camminano insieme. 

La resistenza attiva di RESTA nei territori del Meridione è una pratica che doveva essere raccontata - e che si doveva auto-narrare - perché ci insegna che la rassegnazione non è l’unica risposta. Pensare l’alternativa, praticarla e immaginare un altro mondo è una strada tortuosa ma urgente. Per costruire nuovi mondi, abbiamo bisogno di racconti che ispirino nuovi immaginari e che ci aiutino a camminare e ad affrontare le lotte del presente. D’altronde sono proprio le minuscole storie di chi ha il coraggio di immaginare che cambiano il corso della Storia. 


*L’articolo è un estratto rivisitato di un lungo approfondimento apparso sul libro “Senza Segnale”

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