Settembre 14, 2021
Giustizia Sociale
PER FERMARE IL NEOCOLONIALISMO ABBIAMO BISOGNO DI LEGGI INTERNAZIONALI E DI UNA GLOBALIZZAZIONE DEI DIRITTI
Approfondimento di Sara Manisera, FADA Collective
A partire dalla seconda metà dell'800, dopo il congresso di Berlino del 1878 che vide il cancelliere tedesco Otto von Bismarck spartire il territorio africano tra le principali potenze europee, ha inizio il processo conosciuto come "Scramble for Africa" or "Partition of Africa", un periodo di rapida colonizzazione del continente. A distanza di oltre un secolo, con la diffusione del processo di globalizzazione, la storia sembra ripetersi con la differenza che, oggi, il modello economico neoliberista sembra mostrare un volto ancora più aggressivo attraverso un nuovo sistema di sfruttamento e di neocolonialismo.
Accaparramento delle terre (land grabbing), deforestazione, appropriazione dell'acqua (water grabbing), estrazione di risorse energetiche, minerarie e naturali sono alcune delle azioni compiute dai governi e dalle multinazionali che violano i diritti fondamentali delle comunità locali. Dall'Africa al Sud America, dal Sud-est Asiatico al Medio Oriente. Un fenomeno che spesso segue il classico modello di conquista rapace Nord-Sud, ma in altri casi quello Sud-Sud o intra-regionale (ad esempio in America Latina).
Il fenomeno neocoloniale è stato teorizzato per la prima volta dal premier indonesiano Sukarno in occasione della Conferenza di Bandung del 1955, che ha portato al Movimento dei Non Allineati (NAM), e ripreso nella Terza Conferenza dei popoli panafricani tenuta al Cairo nel 1961. Un termine per descrivere un tipo di intervento straniero - politico, economico, militare, diplomatico - volto a privare questi Paesi della propria indipendenza. Il NAM promuoveva la sicurezza e la sovranità dei suoi membri, per lo più del Sud globale, che non volevano né essere costretti nel blocco sovietico, né accettare l'egemonia statunitense.
Con la caduta del muro di Berlino, il passaggio dal mondo bipolare a unipolare e il fenomeno della globalizzazione economica, sono venuti meno certi riferimenti presenti durante la Guerra Fredda. La scomparsa delle economie pianificate ha di fatto portato alla diffusione di un unico modello globale di produzione e di risorse, basato sul mercato, il libero commercio e lo scambio di merci e servizi.
La crescente globalizzazione economica ha accentuato le interdipendenze; possiamo dire che oggi non c'è angolo del mondo, gruppo di popolazione che si sottragga all'influenza del mercato mondiale. Produzione e commercio sono coordinati su scala globale, le fasi di lavorazione dei vari prodotti sono distribuite in paesi diversi, i mercati finanziari sono globali: tutto questo significa che il capitale circola a livello planetario senza barriere, alla ricerca della forza lavoro al più basso costo o di sbocchi speculativi.
Ma la caduta delle barriere politiche ed economiche, l'apertura dei mercati e lo sviluppo del commercio mondiale hanno permesso anche ad attori economici ed organizzazioni criminali di spostare il centro delle loro attività, in maniera totale o parziale, definitiva o temporanea, da un paese all'altro, laddove le condizioni (legali, economiche, politiche) risultano ottimali.
Nuovi centri di potere economico-finanziario come le società multinazionali, stanno erodendo quote sempre maggiori di sovranità degli Stati e il carattere fortemente interconnettivo del sistema fa sì che la sfera d'azione sia il mondo intero; pertanto le azioni prodotte in un luogo, hanno conseguenze in altri territori.
Lo studioso Umberto Santino, a tal proposito, parla di "crimini della globalizzazione": "Le attività criminali, dai traffici di droghe, di armi, di esseri umani, ai reati ambientali, sono segmenti di percorsi condivisi con altri soggetti, imprenditoriali e istituzionali, ognuno dei quali ha la sua convenienza e percepisce la sua quota di proventi; i gruppi imprenditoriali e criminali proliferano e le attività si sviluppano in un contesto che è criminogeno per i suoi caratteri strutturali e che da più parti viene definito criminale per le modalità di accumulazione e della regolazione".
Se da una parte, infatti, vi è la libera circolazione del capitale e delle merci, dall'altra, però, si assiste alla mancata globalizzazione dei diritti e delle regole che tutelano l'ambiente, la salute e i diritti delle popolazioni e dei lavoratori. Mancano tribunali internazionali che sanzionano le multinazionali e condannano i suoi vertici. Manca una governance globale in grado di stabilire delle regole comuni, in termini di protezione dei diritti delle persone, dei lavoratori e delle comunità. Senza leggi internazionali e/o regionali e senza le giuste sanzioni a chi inquina, uccide o distrugge l'ecosistema, ci troveremo sempre di più in una situazione di disequilibrio dove a pagare saranno i Paesi più fragili e poveri e soprattutto le popolazioni locali.
"Il neocolonialismo è ciò che domina mezzo mondo: è il capitale che viene messo sopra le persone e l'ambiente. Fino a quando avremo multinazionali con budget più alti di certi paesi, senza regole e senza responsabilità, continueremo ad avere sempre questi problemi perché gli Stati più poveri faranno di tutto per attirare queste compagnie, abbassando le tasse ed evitando di applicare leggi ambientali. Ciò che noi facciamo è raccogliere dati scientifici che dimostrano le violazioni da parte di queste multinazionali sui diritti fondamentali come l'acqua, la salute e l'ambiente", spiega Flaviano Bianchini, fondatore di Source International, un'organizzazione che raccoglie dati scientifici contro lo sfruttamento di multinazionali minerarie e fornisce alle comunità locali strumenti utili per difendere i propri diritti.
Bianchini, che dal 2012 è tra i Fellow di Ashoka come imprenditore sociale capace di offrire soluzioni innovative per affrontare i problemi più urgenti della società, chiama queste aziende a rispondere delle proprie attività, fornendo alle comunità e alle associazioni per i diritti umani e ambientali gli strumenti per valutare gli effetti negativi dei progetti di costruzione di miniere, di dighe e di estrazione di petrolio.
"Condannare o sanzionare queste multinazionali a pagare 50 milioni di euro non è sufficiente. Il risultato a livello globale è vedere qualcuno che finisce in carcere perché attraverso la sua attività ha provocato morti, malattie e la distruzione di habitat naturali. Ciò che sarebbe necessario è obbligare queste compagnie a rispettare i diritti umani, l'ambiente, i diritti dei lavoratori e a pagare le tasse".
Per farlo è necessario che ci sia un armonizzazione normativa e giuridica a livello internazionale o regionale affinché ci siano leggi comuni che tutelino i diritti di una determinata regione o continente.
Come spiega Bianchini, inoltre, molte di queste multinazionali che hanno sede nel nord Europa, negli Stati Uniti o nei paradisi fiscali operano in modo diverso a seconda del Paese in cui vanno ad investire. "Le miniere della Lundin, multinazionale svedese, sono dei gioielli quando operano in Svezia mentre in Cile hanno causato disastri ecologici immensi. Le tecnologie quindi esistono. Perché in Svezia sono applicate e in Cile no?".
Lo stesso discorso vale per la questione fiscale o per i diritti dei lavoratori, come possiamo vedere nella stessa Europa dove esistono paradisi fiscali che permettono a multinazionali e cittadini di spostare i propri patrimoni godendo di una imposizione fiscale "agevolata".
Ancora una volta, dunque, la soluzione sta nella necessità di una nuova visione politica: che preveda al più presto la costruzione di una governance globale che tuteli di diritti fondamentali delle persone e del pianeta.