Ottobre 11, 2022
Giustizia Sociale
Non inquiniamo tutt* allo stesso modo: perché i jet dei ricchi aprono una riflessione sulla diseguaglianza
Intervista al progetto Jet dei ricchi, di Adil Mauro
Nell'arco di pochi mesi un account Instagram gestito da un collettivo anonimo di attivisti e attiviste under 30 è riuscito a portare all'attenzione dell'opinione pubblica il tema della disuguaglianza climatica. Il progetto "Jet dei ricchi" stima le emissioni di CO2 prodotte dai voli privati delle persone più ricche d'Italia e cerca attraverso tre semplici proposte di fronteggiare l'impatto ambientale dell'aviazione privata. Basti pensare che "un jet privato in cinque ore di volo produce emissioni pari a quelle di quattro persone in un anno, solo per il settore dei trasporti".
Durante la recente campagna elettorale per le elezioni politiche l'alleanza Verdi - Sinistra Italiana ha fatto sue le richieste di "Jet dei ricchi". Non sono comunque mancate le critiche e le polemiche di alcuni settori dell'informazione e in particolar modo della politica, ma come ci ha spiegato una delle persone coinvolte nel progetto l'obiettivo non è quello di "stimolare l'invidia sociale, bensì la consapevolezza sociale".
D: Com'è nato il progetto "Jet dei ricchi"?
R: "Jet dei ricchi" nasce a giugno di quest'anno su iniziativa di un gruppo di cui faccio parte. Siamo tutt* ragazzi e ragazze under 30. L'ispirazione viene dall'estero, soprattutto dagli Stati Uniti e dalla Francia dove rispetto all'Italia c'è una consapevolezza maggiore su certe tematiche ambientali. In Francia qualche mese fa è nata una pagina che traccia e segue i voli del miliardario Bernard Arnauld. Abbiamo deciso di fare lo stesso qui, senza però limitarci a seguire gli spostamenti di una sola persona".
D: Perché avete deciso di affrontare il tema della disuguaglianza climatica partendo proprio dai jet privati?
R: "Sappiamo benissimo che regolamentare il settore dell'aviazione privata non risolverà il problema dell'inquinamento e neanche il riscaldamento globale. Ritengo però che sia una lotta altamente simbolica e con ripercussioni molto più ampie. L'idea di concentrarsi sui jet privati nasce dal fatto che una parte enorme dell'inquinamento globale è attribuibile al 10% più ricco e una parte ancora più spropositata delle emissioni globali, si parla del 17%, è attribuibile all'1%. Nessun settore economico è più inquinante in termini pro capite dell'aviazione privata. La decisione di concentrarci sui jet privati ci aiuta ad analizzare il problema dell'inquinamento legato alle emissioni attraverso le lenti della disuguaglianza, ma non è un tentativo di ridurre o semplificare la questione dando la colpa all'1%. Non è assolutamente questo".
D: Quali sono gli strumenti a vostra disposizione?
R: "Per quanto riguarda il tracciamento dei voli ci sono più piattaforme che sostanzialmente fanno la stessa cosa. I nomi sono Open Sky Network, Flight Radar e ADS-B Exchange. Si tratta di piattaforme che permettono di seguire in tempo reale i voli e sono assolutamente aperte. Alcune richiedono un abbonamento per accedere a certe informazioni, ma di norma sono essenzialmente aperte al pubblico e chiunque può consultarle. Questo è un aspetto su cui noi mettiamo molto l'accento: non spiamo nessuno e non abbiamo accesso a informazioni confidenziali. Tutto quello che facciamo è open data e può essere replicato da chiunque abbia la voglia di farlo. Una volta che sappiamo il volo o i voli che sono stati effettuati ci basta conoscere il modello dell'aereo e il tempo di volo per calcolare le emissioni e lì le nostre fonti sono ong e think tank che si occupano di inquinamento. Prendiamo i loro dati per sapere quanto inquina in media un italiano oppure quante tonnellate di CO2 equivalgono a un'ora di volo di un certo aereo. Bisogna solamente familiarizzare con queste piattaforme tenendo a mente che alcuni aerei non sono tracciati in una piattaforma ma in un'altra. È importante quindi triangolare e utilizzare diverse fonti. Poi c'è un altro lavoro di ricerca sulle targhe degli aerei per stabilire con certezza il nesso tra una determinata persona e il suo aereo perché non vogliamo fare illazioni infondate. Per esserne sicuri va effettuato uno sforzo di ricerca analogo a qualsiasi lavoro di giornalismo investigativo open source".
D: Puoi illustrarci le vostre proposte per regolamentare l'impatto ambientale dell'aviazione privata?
R: "Innanzitutto non siamo policy makers. All'inizio volevamo solo porre un problema e lasciare che la politica discutesse e trovasse le soluzioni. Purtroppo, salvo qualche rara eccezione, non abbiamo ottenuto proposte costruttive da parte della politica. Per questa ragione abbiamo deciso di proporre delle soluzioni ispirandoci a quello che abbiamo imparato in questi mesi. Le proposte che abbiamo buttato giù e che sono disponibili sul nostro canale sono abbastanza semplici. La prima è quella di un divieto parziale che renda illegali i viaggi in jet privato quando la stessa tratta può essere realizzata con un mezzo di trasporto alternativo. Divieto da estendere anche ai voli che non superano una certa distanza. Abbiamo proposto 500 km, ma potrebbe essere anche meno poiché sappiamo che tantissimi viaggi in jet privati sono di durata brevissima e facilmente evitabili. Un caso classico è Torino - Milano, un tragitto percorribile con un Frecciarossa in meno di 50 minuti. È una tratta frequentissima in jet privato perché ci vuole circa mezz'ora. Per risparmiare una manciata di minuti si immettono nell'atmosfera svariate tonnellate di CO2. La seconda consiste nel tassare il cherosene. Riteniamo assurdo, e questo si applica all'aviazione in generale, che il cherosene usato dagli aerei non sia tassato mentre invece lo è quello usato per le macchine. Questa assenza di tassazione funziona come una sorta di sussidio al mezzo di trasporto più inquinante che c'è ed è particolarmente scandaloso che nemmeno gli aerei privati, cioè un mezzo di trasporto di lusso, sia assoggettato a tassazione. La terza proposta infine è quella di imporre una tassa sui voli che non sia una tassa sul carburante, ma sulla singola tratta visto che il settore può permetterselo. Gli utilizzatori dei jet privati possono permettersi di pagare una tassa in più, anche perché una tassa del genere che si chiama imposta aereotaxi già esiste in Italia. Il montante della tassa varia a seconda della durata del viaggio e va da 10 a 200 euro per passeggero. Immaginate di volare in jet privato da Roma a Tokyo emettendo decine di tonnellate di CO2, ovvero quanto decine di persone emettono in un anno intero, e dovete pagare un massimo di 200 euro quando lo stesso viaggio può costare tranquillamente 100.000 euro. Capite bene che sono cifre irrisorie che non scoraggiano il viaggio né creano un gettito fiscale per lo Stato. Inoltre sappiamo anche che questa tassa molto spesso non viene pagata. Sono state scoperte maxievasioni commesse dalle società di chartering che affittano i jet. Gli importi di questa tassa andrebbero aumentati così come i controlli per far sì che non venga evasa".
D: Il vostro progetto ha fatto molto discutere durante la campagna elettorale.
R: "Siamo molto contenti che questo dibattito sia entrato nel dibattito politico e abbiamo ringraziato molto i Verdi e Sinistra Italiana per essersi interessati alla questione. Durante la campagna elettorale è normale che certi temi vengano trattati con una certa superficialità e che magari lo slogan prenda il sopravvento sulla proposta politica seria. Sappiamo benissimo che abolire i jet privati è più che altro uno slogan, visto che ci sono segmenti dell'aviazione privata legittimi, come ad esempio i voli diplomatici o quando un jet privato viene utilizzato per dare accesso alle cure a chi vive su un'isola o in un posto remoto. L'abolizione dei jet privati non è di per sé un'opzione veramente praticabile. Si può tuttavia adottare una regolamentazione radicale del settore per far sì che le emissioni diminuiscano drasticamente e chi utilizza i jet privati sia costretto a pagare il giusto, retribuendo la collettività per l'inquinamento che produce".
D: Le critiche più frequenti che avete ricevuto finora?
R: "La critica più frequente in cui ci siamo imbattuti è che siamo dei 'riccofobi' e che siamo afflitti da una sorta di invidia sociale per cui chiunque chieda una regolamentazione dei jet privati in realtà è solo invidioso perché non può permettersi di avere un jet privato. E allora tanto vale impedire agli altri di prenderlo. Le cose non stanno così, ovviamente. Non vogliamo stimolare l'invidia sociale in chi ci segue, ma stimolare la consapevolezza sociale sul fatto che l'inquinamento è un fenomeno che va visto attraverso le lenti della disuguaglianza. Non inquiniamo tutti allo stesso modo e non è giusto che la politica chieda di fare i sacrifici sempre agli stessi. Sentiamo ogni tanto dire che la soluzione alla crisi energetica sia spegnere l'acqua della pasta mentre si cucina. Ecco, non pensiamo che sia giusto chiedere sacrifici alle persone normali e allo stesso opporsi alla regolamentazione dei jet privati che sappiamo essere il mezzo di trasporto pro capite più inquinante. Un'altra critica un po' più articolata afferma che regolamentare i jet privati creerà una perdita di indotto. Si parla quindi di miliardari che smettono di venire in Italia, industrie manifatturiere che smettono di produrre aerei e posti di lavoro persi. In realtà chi viaggia nel nostro paese in jet privato continuerà a farlo anche se dovrà pagare delle tasse. L'industria dell'aviazione privata anche se dovesse soffrire per queste misure è un'industria piccolissima le cui emissioni sono gigantesche rispetto alla taglia. Sappiamo inoltre che la domanda del settore è 'anelastica', per usare un termine tecnico, nel senso che un aumento dei prezzi non impatterà drammaticamente sulla domanda".
D: Abbiamo chiesto un parere sul progetto "Jet dei ricchi" a Michele Giuli, portavoce di Ultima Generazione, campagna italiana di disobbedienza civile nonviolenta che chiede azioni urgenti e concrete contro il collasso climatico.
R: "Ultima Generazione non ha una posizione ufficiale sul tema dei jet privati perché al momento si occupa di altro però siamo aperti a parlarne. So benissimo che l'1% della popolazione è responsabile del 50% delle emissioni e questo è uno scandalo, tuttavia ci tengo a sottolineare una cosa quando parliamo di questi dati. Con l'1% della popolazione non si intende soltanto i super ricchi con il jet privato, ma anche buona parte della popolazione occidentale della classe medio alta di cui fanno parte molti attivisti climatici. Senza dubbio il jet privato è uno scandalo ma nel 2022, con la catastrofe in cui siamo, anche prendere un aereo di linea per andare a fare una protesta per il clima è un'assurdità. Abbiamo tre o quattro anni per tagliare le emissioni come ha detto Sir David King, uno dei maggiori climatologi del mondo o altrimenti arriveremo a quei punti di non ritorno in cui l'aumento delle temperature sarà assolutamente non lineare: per ogni punto di ritorno che perderemo, aumenteremo di circa 0,3 gradi in più. Secondo alcuni studi l'Artico sarà sciolto entro il 2035. I jet privati vanno quindi fermati, ma allo stesso tempo ho una preoccupazione strategica che parte dalla differenza tra protesta e resistenza. La protesta segnala che c'è un problema ma finisce lì. Fare resistenza civile come metodo storico vuol dire costringere il governo a legiferare. Non serve a niente protestare contro i ricchi se non hai un piano di conflitto diretto con lo Stato. Vedo il rischio che protestare contro i ricchi - una cosa giusta in sé - sia inefficace se non inseriamo nel discorso anche il governo. E non sto dicendo che una cosa escluda l'altra. Bisogna però ragionare sul pacchetto intero e mantenere un'analisi sistemica di quello che c'è da cambiare".