Settembre 14, 2021
Giustizia Sociale
NON AVERE LA CITTADINANZA SIGNIFICA AVERE MENO DIRITTI
Approfondimento di Sara Manisera, FADA Collective
Eppure basterebbe entrare in una classe di una qualsiasi scuola per accorgersene. Per accorgersi che l'Italia è cambiata ma le sue leggi no. Davanti a noi troveremmo migliaia di bambini e ragazzi, figli e figlie di immigrati che, pur frequentando le scuole con i compagni italiani, non sono cittadini come loro.
Se sono nati in Italia, dovranno attendere fino ai diciott'anni, senza nemmeno avere la certezza di diventarlo. Se sono arrivati qui da piccoli, non hanno la possibilità di godere degli stessi diritti di chi è nato nel nostro paese.
La legge che attualmente regola le modalità per diventare cittadini italiani prevede un sistema che è tipicamente orientato all'acquisto della cittadinanza per sangue, ovvero per nascita da un genitore italiano. L'ultima legge sulla cittadinanza introdotta nel 1992, prevede un'unica modalità di acquisizione chiamata ius sanguinis (dal latino, "diritto di sangue"): un bambino è italiano se almeno uno dei genitori è italiano. Un bambino nato da genitori stranieri, anche se partorito sul territorio italiano, può chiedere la cittadinanza solo dopo aver compiuto 18 anni e solo se fino a quel momento abbia risieduto in Italia "legalmente e ininterrottamente".
Un requisito che non è sempre facile da dimostrare per la precarietà di vita di alcune famiglie o per la situazione irregolare sul territorio (anche per un breve periodo). Inoltre si ha solo un anno di tempo per consegnare la documentazione e anche questo può costituire un ostacolo. Questa legge è da tempo considerata carente: esclude per diversi anni dalla cittadinanza e dai suoi benefici decine di migliaia di bambini nati e cresciuti in Italia, e lega la loro condizione a quella dei genitori (il cui permesso di soggiorno nel frattempo può scadere, e costringere tutta la famiglia a lasciare il paese).
Non importa dunque se sei cresciuto a Milano, Roma a Palermo o in un paesino delle aree interne italiane. Non importa se hai frequentato le scuole italiane e se sei cresciuto qui tutta la tua vita. Oggi in Italia un bambino/a acquista la cittadinanza solo se figlio di padre o di madre italiana. Ed è ciò che Kwanza Musi Dos Santos, 28 anni, consulente in diversity management, attivista e co-fondatrice dell'associazione Questa è Roma chiama "razzismo sistemico".
«In Italia il razzismo è sistemico ma ancora lo raccontiamo come se fosse legato a singoli episodi. In realtà basterebbe guardare la legge sulla cittadinanza, ancora legata al sangue. Oppure l'accesso al lavoro, alle borse di studio, all'accademia, alle istituzioni, alle forze dell'ordine. Quanto è difficile per un figlio o una figlia di stranieri accedervi?». L'associazione culturale e sportiva fondata da Dos Santos si occupa di emarginare ogni forma di discriminazione attraverso l'arte, le attività ricreative e la cultura. È composta da ragazzi e ragazze provenienti da Paesi e contesti socioculturali diversi. Artisti, scrittori, attori, giornalisti, attivisti, lavoratori e studenti, nati e/o cresciuti nella Capitale d'Italia da genitori stranieri. Si sono riuniti per dare vita a un movimento che includa tutti a prescindere dalle origini, dal sesso, dal credo religioso e dalle condizioni economiche e sociali. Romani, nuovi romani e romani per scelta, che hanno deciso di costruire il proprio futuro a Roma e in Italia.
Anche Italiani Senza Cittadinanza, movimento di figli e figlie di immigrati cresciuti in Italia, è impegnato dal 2016 in una battaglia politica e culturale per la riforma della legge sulla cittadinanza, che cancelli lo ius sanguinis e introduca nel nostro Paese il cosiddetto ius culturae e lo ius soli temperato. L'attuale legge, infatti, è una legge nata vecchia che oggi non rispecchia l'attuale società italiana, fatta di donne, uomini, bambine e bambini che vivono in Italia e hanno una storia personale e familiare eterogenea, plurale e interculturale.
«Dopo 20 anni in Italia dobbiamo ancora chiedere il permesso per rimanere nel Paese che consideriamo casa. Senza cittadinanza non si esiste: non possiamo votare, non possiamo scegliere liberamente quali lavori fare e perdiamo tantissime opportunità di studio all'estero», ha detto Jovana Kuzman, una delle portavoci del movimento Italiani Senza Cittadinanza sul palco degli Stati Popolari a Roma a luglio 2020.
Ma quanti sono gli studenti e le studentesse senza questo diritto? Secondo i dati pubblicati dal MIUR per l'anno scolastico 2018/2019, gli alunni nelle scuole italiane privi di questo diritto sono oltre 860mila mentre gli stranieri residenti in Italia con meno di 18 anni sarebbero un milione e 40 mila all'inizio del 2018 secondo l'ISTAT. Appare chiaro che i giovani figli di stranieri siano ormai una componente importante della società italiana.
Ma cosa vuol dire non avere la cittadinanza?
Non avere la cittadinanza significa saltare le gite scolastiche o gli scambi linguistici all'estero perché non si può ottenere il visto, essendo in possesso di passaporti di altri Paesi extra UE. Significa saltare giorni di scuola per andare in questura a rinnovare il permesso di soggiorno. Significa non poter partecipare ai concorsi pubblici che sono possibili/accessibili solo per chi ha la cittadinanza. Significa non poter partecipare alle attività con i pari, come ad esempio lo sport. Come ha raccontato la Tam Tam Basketball, una squadra di basket fatta di figli di stranieri nati e cresciuti a Castelvolturno, le squadre di basket che hanno più di 2 cittadini stranieri non possono partecipare ai campionati nazionali FIP.
Insomma non avere la cittadinanza significa avere meno diritti degli altri ed essere considerati cittadini di serie B. Significa vivere una vita in bilico, fatta di minori possibilità, incertezze e difficoltà ad autodeterminare il proprio futuro.
Ancora una volta è la politica che arriva in ritardo sulla società. Basta entrare nella classe di una qualsiasi scuola italiana per accorgersene.
BOX:
Attualmente in Commissione Affari costituzionali della Camera dei Deputati sono presenti tre proposte di legge che puntano, con modalità differenti (sia tramite forme di ius soli, sia di ius culturae) a modificare le norme che regolano la cittadinanza in Italia e velocizzare in particolare il percorso burocratico previsto per i minori nati o cresciuti sul territorio italiano.
Lo ius soli temperato proposto prevedeva che sarebbero diventati cittadini italiani i figli, nati nel territorio della Repubblica italiana, di genitori stranieri se almeno uno di loro aveva un permesso di soggiorno Ue di lungo periodo. In questo caso, la cittadinanza veniva acquisita mediante la dichiarazione di volontà espressa da un genitore o da chi esercita la responsabilità genitoriale del minore.
In base poi allo ius culturae potevano ottenere la cittadinanza anche i minori stranieri nati in Italia, o entrati entro il 12esimo anno di età, che avessero "frequentato regolarmente per almeno cinque anni uno o più cicli presso istituti scolastici del sistema nazionale, o percorsi di istruzione e formazione professionale triennali o quadriennali". La frequenza del corso di istruzione primaria doveva essere coronata dalla promozione. La richiesta di cittadinanza doveva essere presentata da un genitore legalmente residente in Italia. Infine, la proposta di legge stabiliva che i ragazzi arrivati in Italia tra i 12 e i 18 anni avrebbero potuto avere la cittadinanza italiana dopo aver risieduto legalmente in Italia per almeno sei anni e aver frequentato "un ciclo scolastico, con il conseguimento del titolo conclusivo". All'epoca il Comitato promotore della campagna "L'Italia sono anch'io" aveva ritenuto il testo "un importante passo in avanti rispetto alla legislazione vigente" ma carente sotto alcuni punti di vista e per questo aveva proposto alcune modifiche. Il testo, però, non venne approvato.
Fonte: https://www.valigiablu.it/cittadinanza-minori-stranieri/