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razzismo
Luglio 23, 2024
Giustizia Sociale

Negare lo spazio: uno strumento di oppressione razziale della società occidentale postmoderna

Approfondimento di Youssef Siher, ricercatore

Quando si parla di democrazie liberali occidentali, sarebbe importante guardare al modo in cui queste si sono sviluppate. Esse, infatti, prosperano grazie ad un complesso sistema capitalistico-coloniale, di cui una parte fondamentale è la repressione - su base razziale - dell’altro. La violenza è sempre stata - e sempre sarà - insita nei rapporti tra gli esseri umani. La razzializzazione della violenza è, invece, un fenomeno prettamente europeo, nato in un contesto storico e culturale ben preciso, che si delinea solitamente nel XV secolo e che continua a perfezionarsi tuttora. 

Se la xenofobia, “l’avversione generale verso ciò che è altro”, è passiva, ovvero agisce principalmente sul piano psicologico e fisico su chi la manifesta, il razzismo, invece, è un atteggiamento di discriminazione verso un soggetto ben preciso, alimentato da un preponderante sostrato di superiorismo etnico-culturale e basato su teoremi pseudoscientifici che tendono a rendere l’atto moralmente accettabile. Il razzismo è quindi attivo, nel senso che tocca principalmente, sul piano psicologico e fisico, chi lo subisce, e si concretizza nella violenza astratta o reale. La xenofobia dunque è una condizione intrinseca all’essere umano. Il razzismo è, invece, un prodotto specifico dell’Occidente moderno. Lo studioso afroamericano Frank Snowden, noto soprattutto per il suo studio sui neri nell’antichità classica, spiega infatti che, nonostante la consapevolezza delle differenze di colore nel mondo antico, né gli antichi greci né i romani concepivano qualcosa che assomigliasse a una teoria di superiorità razziale.

Ma come si manifesta il razzismo? Una delle forme più evidenti è la limitazione degli spazi, siano essi fisici, psicologici, economici, politici, culturali o intellettuali, concreti o astratti. Le prime teorie razziste moderne affondano, infatti, le loro radici nella penisola iberica del XV secolo, dove il concetto di limpieza de sangre venne sviluppato per dare una base ideologica che legittimasse l’inquisizione, differenziando qualitativamente tra «vecchi cristiani» e «nuovi cristiani», questi ultimi discendenti dagli ebrei e dai musulmani convertiti. Questo stesso sistema manicheo venne poi trasposto al contesto del primo colonialismo europeo delle Americhe, dove i colonizzatori iberici costruirono vasti imperi al prezzo di altrettanti vasti genocidi, e dove vennero sperimentate le prime forme di violenza razziale. 

Inizia quindi a rafforzarsi il paradigma bianco/nero inteso come metodo di separazione tra ciò che è europeo (gente de razón) e ciò che è indigeno (gente sin razón). Uno degli aspetti fondamentali del primo colonialismo europeo delle Americhe sono le missioni cattoliche, tanto che l’espansione spagnola veniva riassunta con il motto “oro, Dio, gloria”. L’oro rappresentava gli interessi economici; Dio la missione cristiana; gloria invece sottintendeva il presupposto ruolo cruciale per l’uomo bianco-cristiano (il conquistador) quale attore della storia, intendendo pragmaticamente la colonizzazione come un compito divino “obbligatorio” che bisognava portare a termine per avvicinare alla luce della ragione le bestie umane ancora inselvatichite.

Il paradigma bianco/nero si è però perfezionato come concetto moderno solo dopo il periodo settecentesco dell’Illuminismo e della Rivoluzione francese. Durante questo momento storico fondamentale per l’Europa viene a mancare il discrimine “razziale” tra gli europei. Smantellato l’ancien régime, non esistono più nobili e plebei. Ci sono solo esseri umani, tutti uguali di fronte alla legge, e quindi tutti accettabili all’interno dello spazio collettivo, oltre che tutti attori a pieno titolo della res publica. Nasce la moderna società borghese. Ma questo processo, che pone fine al rapporto “razziale” tra bianchi, traspone quest’ultimo ad un contesto più ampio che trova nel colonialismo un terreno fertile nel quale perpetuare sé stesso. I privilegiati diventano tutti colonizzatori a discapito delle società ad essi assoggettati. Si sviluppa e si rafforza, quindi, il concetto di mission civilisatrice, volto a dare un senso morale alla nozione borghese di “uguaglianza”. Se infatti siamo tutti uguali, com’è possibile accettare e giustificare la violenza coloniale e la sottomissione schiavizzante di interi popoli? La risposta è la disumanizzazione del soggetto colonizzato.

Il razzismo moderno, definito anche “scientifico”, è quindi il prodotto del periodo storico della Rivoluzione francese, durante il quale l’antico criterio di segregazione classista entra in piena crisi, dando spazio a criteri basati su teorie filosofiche e pseudoscientifiche volte alla legittimazione della superiorità della razza bianca sulle altre. Figlio di questo periodo e pioniere della legittimazione del pensiero razzista, oltre che teorico della razza ariana e assiduo portatore di posizioni coloniali e razziste, è il filosofo e scrittore francese Ernest Renan. Renan spiegava infatti che «la natura ha fatto una razza di operai, è la razza cinese [...] una razza di lavoratori della terra, è il negro [...], una razza di padroni e di soldati, è la razza europea». Non stupisce quindi scoprire che i concetti di uguaglianza, libertà e democrazia non fossero stati teorizzati per essere applicati ai non-bianchi.

Per mantenere il sistema di valori che si era venuto a creare nell’Ottocento, gli europei dovettero quindi proiettare i loro sistemi di oppressione razziale su altri popoli, avendo dalla loro quella legittimità morale di cui necessitavano per non sentirsi “ipocriti” nel disapplicare i loro sistemi valoriali durante l’esecuzione delle violenze più inaudite nei confronti di intere popolazioni non europee. Questo netto manicheismo poteva esplicitarsi solo nelle colonie, mentre le metropoli dovevano rimanere degli “spazi sicuri”. Si creano così degli spazi e dei limiti, eretti e mantenuti con l’uso della violenza e della repressione. I confini geografici tra gli stati diventano sempre più marcati. L’immigrazione viene limitata, l’emigrazione incoraggiata. L’obiettivo: colonizzare e occidentalizzare l’intero pianeta, con il fine ultimo di renderlo tutto uno “spazio sicuro” per i bianchi. Nascono così le prime colonie penali, i campi di concentramento, le prime segregazioni razziali socialmente accettate. Nel contesto coloniale le città si dividono in zone abitate dai coloni e zone abitate dai colonizzati. 

Questa separazione ostile dello spazio si è riscontrata in modo preponderante in tutti i casi di colonialismo di insediamento, dove la limitazione dello spazio alle popolazioni indigene era - ed è tutt’ora - alla base della logica dell’eliminazione del nativo. Negli Stati Uniti gli spazi degli indigeni sono stati compressi in “riserve indiane”, in Sud Africa e Namibia in “bantustan”, in Palestina nella creazione di entità territoriali fittizie come la Striscia di Gaza e la Cisgiordania.

La logica alla base della separazione ostile dello spazio non è però prettamente limitata al contesto coloniale. Essa infatti è una realtà quotidiana che tuttora permane nelle metropoli occidentali. Nelle società europee, infatti, ci sono spazi esclusivi, separati e inaccessibili ai non-bianchi: sono le scuole migliori, le università private, i circoli accademici e culturali, le posizioni lavorative apicali, le leadership dei partiti di potere. L’accesso è riservato solo a chi si conforma agli obblighi valoriali stabiliti dalla società borghese, cioè solo se ci si europeizza e si diventa bianchi, abbandonando completamente la propria identità. La mentalità coloniale, vale a dire il complesso sistema psicologico che una persona razzializzata inconsciamente adotta per autodeterminarsi come “bianca”, è alla base di questa “integrazione” nella società europea. 

Una falsa via d’uscita volta all’accettazione e al superamento di quello stato di dissonanza cognitiva che affligge ogni persona razzializzata in un contesto di dominio coloniale o dove l’egemonia appartiene ad un gruppo, diverso dal proprio, che applica strumenti razzisti nei suoi rapporti con l’altro. Come spiegava lo psichiatra franco-caraibico Franz Fanon, «è evidente che ciò che divide il mondo è anzitutto il fatto di appartenere o meno a una data specie, a una data razza. In colonia, l’infrastruttura economica è pura sovrastruttura. La causa è la conseguenza: si è ricchi perché bianchi, si è bianchi perché ricchi». Lo stesso concetto è applicabile alle metropoli occidentali.

Nella società occidentale postmodernalo spazio maggiormente negato ai non-bianchi è quello della cittadinanza. Non si è cittadini finchè non si superano “prove” linguistiche, ideologiche, economiche, politiche e sociali. E non si è pienamente cittadini nemmeno quando si ottiene detta “cittadinanza”. Il vero cittadino è - e sempre sarà - il bianco. Le banlieue, le periferie e i quartieri-ghetto sono tutti spazi creati per separare i cittadini dai non cittadini, i bianchi dai non-bianchi. Un vero e proprio sistema di apartheid socialmente accettato agli occhi della società borghese postmoderna. Per rendere concepibile questa pratica repressiva all’interno dello stato di diritto si ricorre ai vecchi strumenti evergreen di disumanizzazione e di inferiorizzazione dei gruppi emarginati.

Oltre alle limitazioni spaziali intra-sociali, nel contesto europeo, esiste anche un limite molto più marcato di separazione netta tra noi e loro: il Mar Mediterraneo. Le politiche anti-migratorie europee sono l’esempio più visibile di negazione dello spazio all’altro. Una segregazione dalle proporzioni continentali, che nega a priori l’accesso allo “spazio sicuro” all’altro solo perché altro. Chi riesce a superare questa barriera rimane lo stesso un soggetto ostile. Ed ecco che entrano in gioco i meccanismi complementari di segregazione, dagli hotspot ai centri di detenzione arbitraria e per il rimpatrio. La repressione è ancora più dura nel momento in cui il soggetto in questione si dissocia dal sistema diventando, secondo il sistema stesso, un fastidio da eliminare. Ciò che importa è la rapida espulsione dalla società bianca, indipendentemente dal fatto che ci sia stata la commissione reale di qualche reato. Di fatto, una persona viene punita in anticipo. Tuttavia, questo è solo l'ingranaggio più distopico di un sistema di repressione razziale che sostiene l'intera società postmoderna occidentale.

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