Aprile 28, 2025
Giustizia Sociale
Narrazioni tossiche: il ruolo dei media nell’islamofobia in Italia
Approfondimento di Adil Mauro
Due italiani su tre hanno paura delle comunità musulmane. Secondo un sondaggio di Swg il 67% degli italiani ha una “propensione a demonizzare l'Islam” e solo il 33% si ritiene aperto e favorevole all’integrazione. Una rilevazione in linea con quanto accade negli altri Paesi europei. L’Agenzia Ue per i diritti fondamentali (FRA) segnala che oggi un musulmano su due nell’Unione è vittima di “razzismo e discriminazione nella vita quotidiana”. Per la direttrice della FRA Sirpa Rautio “stiamo assistendo a un preoccupante aumento del razzismo e della discriminazione nei confronti dei musulmani in Europa. Ciò è alimentato dai conflitti in Medio Oriente e aggravato dalla disumanizzante retorica anti-musulmana che vediamo in tutto il continente”.
L'islamofobia è un fenomeno diffuso e l'assenza di una raccolta sistematica e completa di dati contribuisce al radicamento nella società di false credenze, come il numero di musulmani che vivono in Italia. La loro presenza sul territorio nazionale è sovradimensionata: rappresentano il 5% della popolazione residente ma la percezione è che siano il 19%, come riporta uno studio condotto da Ipsos.
“Le persone di religione musulmana sono molto diverse tra loro. Non si può parlare di una comunità, ma di più realtà, singoli e associazioni. Credo che questo sia uno dei motivi per cui è sempre stato complesso ottenere un riconoscimento ufficiale dallo Stato”, spiega a Voice Over la giornalista e podcaster di origine tunisina Leila Belhadj Mohamed.
Una legittimazione resa ancora più difficile dall'attuale esecutivo. Lo scorso ottobre i membri del Consiglio per le relazioni con l’Islam hanno annunciato le loro dimissioni. In una lettera indirizzata al Ministro dell'Interno Matteo Piantedosi denunciano la sospensione di tutte le iniziative avviate e programmate e il mancato riconoscimento giuridico di vari enti islamici. In circa due anni le parti sono state riunite solo una volta, il 13 luglio 2023.
A dispetto del palese disinteresse del governo Meloni, le questioni in sospeso da affrontare urgentemente sono molteplici. Per Belhadj Mohamed si va dagli spazi negati nei cimiteri (“abbiamo un enorme problema legato alla sepoltura dei nostri cari, una situazione peggiorata durante la pandemia”) alla necessità di utilizzare le norme esistenti, “a partire dalla legge Mancino tutte le volte in cui c'è un attacco islamofobo o un caso di discriminazione religiosa”.
Argomenti impopolari in un Paese che nutre una paura irrazionale nei confronti delle persone che professano la religione islamica. Un'indagine condotta in 15 paesi dell'Europa occidentale dal Pew Research Center ci vede al primo posto tra le nazioni spaventate dall'Islam. Nonostante in Italia non sia mai avvenuto un attentato di matrice islamica, il 16% dei nostri connazionali ritiene che diversi musulmani sostengano gruppi estremisti: un dato più elevato rispetto a quello riscontrato in paesi colpiti da attacchi terroristici come Francia, Germania e Regno Unito.
Il ruolo giocato dai media nella demonizzazione dell'Islam è fondamentale. “Si dedicano ore di programmazione televisiva a episodi marginali di cronaca locale pur di inasprire un sentimento di odio nei confronti delle persone musulmane”, dice Belhadj Mohamed. “Va comunque sottolineata l'enorme discrepanza di percezione dell'Islam tra chi ha modo di informarsi anche sui social e quella parte di società che si affida soltanto ai media tradizionali”.
Il tentativo di superare una visione stereotipata dell'Islam è condiviso e portato avanti anche da Sabika Shah Povia, giornalista freelance di origini pakistane che si occupa di razzismo, estremismi politici e religiosi.
“Quando si parla di Islam sembra che sia in atto uno scontro tra civiltà, una contrapposizione tra noi e loro. E la donna musulmana viene raccontata come vittima, sottomessa o comunque incapace di scegliere per se stessa. E quando non rientra in queste categorie è una donna complice, con connotazioni negative. Invece l'uomo musulmano in queste narrazioni, dall'11 settembre 2001 in poi, ricopre sempre il ruolo del cattivo. Da giornalista un problema che riscontro spesso negli articoli che parlano di una ragazza musulmana che magari è vittima di qualche violenza è l'abuso di frasi romanzate, quali ad esempio 'il sogno di questa ragazza che desiderava soltanto di vivere all'occidentale'. Una descrizione per niente accurata, in molti casi fatta da persone che non sanno nulla di queste ragazze. Ed è una cosa che sto notando molto anche quando si tratta di raccontare ciò che accade in Paesi come l'Iran: le donne uccise durante le manifestazioni 'sognavano soltanto il vento tra i capelli'. Ma non si può ridurre quella battaglia al desiderio del vento tra i capelli, non stiamo scrivendo romanzi, siamo giornalisti e dovremmo fare informazione”, afferma Shah Povia.
I limiti del mondo dell'informazione su questi temi sono emersi in maniera evidente con il femminicidio di Saman Abbas, 18enne di origine pakistane uccisa tra il 30 aprile e il primo maggio 2021 a Novellara, in provincia di Reggio Emilia.
“In quel caso la descrizione della comunità pakistana era stata 'i musulmani ammazzano le figlie' senza cercare di capire perché questa ragazza vivesse così isolata e come mai nessuno si fosse accorto di nulla prima. Nessuna domanda sul perché non ci siano percorsi di integrazione a lungo termine per le persone che arrivano qui”, sottolinea la giornalista. “Ci sono tanti problemi, ma ci si limita a raccontarli in maniera superficiale, facendo di tutto un unico blocco monolitico”.
Un fenomeno frequente in questi casi – o all'indomani di un attentato terroristico – è la richiesta da parte di media e politici ad ogni singola persona di fede islamica di condannare l'atto violento in questione e dissociarsi pubblicamente.
Per Shah Povia questo è un tema che non è mai sparito. “Come persona musulmana italiana mi sento parte di questa società, ma quando mi chiedono di dissociarmi finisco al di fuori di quella che è la loro idea di società, dalla parte del nemico. È una richiesta problematica perché non favorisce l'integrazione nel Paese ma crea rancori”.
Tuttavia qualcosa – a partire dalle immancabili polemiche sul velo che accompagnano qualsiasi discussione sull'Islam – sta cambiando anche in Italia, dice Belhadj Mohamed. “Siamo arrabbiate, ma fino a 10 anni fa pensavamo di essere da sole nella nostra rabbia. Invece siamo in tante e stiamo cercando di dare una risposta a queste narrazioni tossiche. Donne musulmane con il velo e senza”.