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my zone
Settembre 02, 2024
Giustizia Sociale

Le voci dai margini ci sono, e vanno ascoltate

Intervista a Selam Tesfai e Ariman Scriba, conduttrici del video podcast My Zone

My Zone è un video podcast di Voice Over Foundation, prodotto in collaborazione con Blackcoffee Podcast e MUN Magazine. My Zone si pone l’obiettivo di cambiare la narrazione delle periferie, in particolare di San Siro e Quarto Oggiaro, da cui provengono le conduttrici, le attiviste Ariman Scriba e Selam Tesfai. La regia del video podcast è della podcaster e regista Ariam Tekle.

L’idea di creare un video podcast sulle periferie è nata a giugno 2023, dopo l’uccisione da parte delle forze dell’ordine francesi del diciassettenne Nahel Merzouk a Nanterre, nella banlieue nord-ovest di Parigi. Si è allora palesata la necessità di un cambio di narrazione sulle periferie delle grandi città. Se, da un lato, l’immagine che viene data delle metropoli è spesso distorta e patinata, dall’altro si parla di questi luoghi solo con una connotazione negativa quando accade qualche episodio di cronaca in periferia. Per ridefinire questi spazi come generatori di cultura è allora necessario che a prendere parola sia chi è cresciuto e abita in prima persona i luoghi ai margini.   

My Zone si può guardare sul canale YouTube di Voice Over, e ascoltare sul canale Spotify di Blackcoffee Podcast.

 

D: Ciao Selam, ciao Imen, potete presentarvi e raccontare le realtà di cui fate parte?

 

Iman: Sono Imen e sono fondatrice ed editor di MUN Magazine, un progetto editoriale nato con l’idea di costruire una comunità attorno alla quale esprimersi e condividere idee e prospettive in Italia, il più delle volte cancellate e distorte. I giornali mainstream, infatti, riscrivono spesso la storia, e noi, dal canto nostro, speriamo di raccontare ciò che accade nel mondo senza filtri e manipolazioni. Come Selam sono nata a Milano, cresciuta a Quarto Oggiaro ma adesso vivo in un altro quartiere, vicino al mio d’origine a cui sono molto legata: lì conservo tutti i ricordi con il mio fratellino, la sua musica e la sua arte.

Selam: Sono Selam Tesfai e sono un’attivista. Sono nata e cresciuta a Milano ovest, da cui spero di non spostarmi mai. Faccio parte del Cantiere, un laboratorio politico metropolitano, e dello Spazio di Mutuo Soccorso, un progetto che nasce dalla collaborazione del Cantiere con il Comitato Abitanti di San Siro, uno spazio di lotta e resistenza per il diritto alla casa ma anche uno spazio dove praticare un mondo alternativo possibile. Sia io che Imen siamo critiche rispetto alla città di Milano. Siamo entrambe figlie di genitori che provengono da altri paesi. Abbiamo vissuto una forte razzializzazione, quindi dei processi per cui la tua vita e il tuo destino non sono frutto del libero arbitrio né della meritocrazia. Se nasci e cresci in una casa popolare da un lato vorresti andare via, ma allo stesso tempo ti senti destinato a rimanerci, perché le prospettive sono poche e in pochi crederanno in te, perché ti associano a una condizione di disagio sociale.

 

D: Quali questioni avete affrontato nel video podcast? 

 

Iman: le tematiche che abbiamo selezionato io, Selam e Ariam ruotano attorno all’hip hop, al diritto all’abitare e alla salute mentale. Un tema che forse avremmo potuto approfondire ancora di più è quello della profilazione razziale. Abbiamo tentato di fornire delle pillole, degli input, senza illuderci che fossero esaustivi: sappiamo che è impossibile. La profilazione razziale è un tema centrale a Quarto Oggiaro per quanto riguarda la sua storia degli anni ’90, nel primo 2000, e oggi a San Siro quotidianamente. Ci sono sempre ronde e posti di blocco ed elicotteri che volano sopra le nostre teste. Tutto questo limita lo spostamento delle persone sia all’interno del proprio quartiere che al di fuori. I nostri spostamenti possono mettere a repentaglio la nostra libertà, perché si rischia di essere messi in un CPR senza aver commesso alcun reato.

 

D: Come mai avete deciso di affiancare alla registrazione dell’audio anche la parte video? 

 

Iman: Facendo ricerca prima di iniziare a lavorare a My Zone ci siamo rese conto di quanti podcast ci fossero solo con uomini al tavolo a parlare per ore, e questa cosa non ci stava bene. Abbiamo deciso di proporre un’alternativa. Inoltre volevamo mostrare delle immagini dei nostri quartieri: siamo nate e cresciute lì, perciò avere la possibilità di far vedere le nostre zone era fondamentale per noi.

Selam: a me piacciono molto i podcast, mi piace ascoltarli e mi piacciono anche quelli video, soprattutto per una generazione come la nostra che ha abbandonato progressivamente la televisione. Mi piaceva l’idea di tornare ad avere delle voci di sottofondo mentre si fanno altre cose. E mi piace l’idea che le persone possano coltivare, ascoltandoci, le proprie riflessioni, e far sì che la conversazione sulla musica, sul diritto alla casa e sulla salute mentale sia estesa anche a loro. 

Vorrei sentire anche altre voci, anche perché lo strumento del podcast è molto buono per questo genere di cose, è stato esplorato per esempio da molti ragazzi italiani con origine straniera che hanno avviato delle conversazioni aperte senza un tema specifico ma trovandosi a parlarne intorno a un tavolo.

 

D: Quando stavate registrando questo podcast a chi vi rivolgevate? 

 

Iman: a me piacerebbe arrivare sia a quella ragazza che si vergogna del suo quartiere e a scuola non dice da dove viene, e che potrebbe finalmente avere la possibilità di sentire una storia vicina alla sua, sia alle istituzioni o comunque a persone distanti che della mia zona non conoscono nulla. Sono due target completamente diversi, ma credo che entrambi potrebbero giovare di questo progetto.

Selam: vorrei che ad ascoltare questo podcast fossero le persone che non hanno mai guardato alle periferie con il nostro sguardo, ovvero quello di giovani donne razzializzate, cresciute in periferia, e che hanno sviluppato una riflessione su quanto visto e vissuto. A me non interessa rappresentare tutte le persone razzializzate: sarebbe folle pensarlo. Si tratta di mettere dei tasselli ancora assenti:

Quelle voci vanno ascoltate. Penso che il mio sguardo possa farsi ponte tra, ad esempio, quello di mia madre e quello delle persone italiane che hanno sempre vissuto in un altro quartiere. E poi vorrei che le persone che abitano una casa popolare sappiano che quella storia è interessante. La storia del loro quartiere non è rappresentativa della loro persona. 

 

D: Quali percorsi immaginate di aver avviato con questo video podcast?

 

Iman: Sarebbe interessante spostarsi in altri quartieri e sentire altre voci e altre storie, ma anche spostarsi da Milano. Sarebbe bello sentire il racconto di tutte le periferie che vengono sempre raccontate male o non vengono raccontate del tutto.  

Selam: Vogliamo dire ai giovani, e soprattutto alle giovanissime, che tutto questo si può fare. Quello che speriamo di fare con My Zone è spingere altre persone a prendere il microfono, a ragionare su cosa raccontare e come del proprio quartiere, a cosa potrebbe essere utile dire per migliorarne la narrazione o per fornirne una contronarrazione. Sarebbe bello anche nascessero dei tavoli di discussione non prestrutturati, in cui le persone vanno e dicono spontaneamente cosa pensano. Questo indipendentemente dalla qualità del prodotto finale: My Zone è molto bello perché ci hanno lavorato dei professionisti, ma altre persone, dal basso, ad esempio tramite l’hip hop, stanno già dicendo la loro opinione sui quartieri, e vorremmo avessero il coraggio per continuare a farlo o, se non lo hanno ancora fatto, per trovare altre strade per farsi sentire.

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