Aprile 14, 2025
Giustizia Sociale
La Palestina in ogni lotta per la giustizia: il ricordo attivo di Vittorio Arrigoni
Approfondimento di Adil Mauro
Il 15 aprile 2011 le forze di sicurezza di Hamas rinvenivano in un'abitazione di Gaza City il corpo senza vita dell'attivista per i diritti umani Vittorio Arrigoni. Il 36enne appartenente al Movimento Internazionale di Solidarietà (ISM) era stato rapito la sera precedente da un presunto gruppo di estremisti salafiti.
Gli assassini di Vittorio Arrigoni furono identificati pochi giorni dopo. Due di loro morirono in uno scontro a fuoco, altri quattro furono processati. Il 17 settembre 2012 il processo si concluse con due condanne all’ergastolo per omicidio, altre due a dieci e un anno per rapimento e favoreggiamento. La pena di morte non fu comminata a seguito della precisa richiesta avanzata al tribunale dai familiari di Arrigoni.
Le motivazioni dietro l'omicidio dell'attivista rimangono ancora oggi oscure. Anche se l’organizzazione salafita si dissociò dall’atto, definendolo opera di una cellula deviata, nessuna indagine approfondita fu condotta sul giordano Abdel Rahman Breizat, giunto appositamente a Gaza per rapire e uccidere l'italiano.
Nel 2002 Vittorio Arrigoni, soprannominato “Vik”, raggiunse Gerusalemme Est per un primo campo di lavoro in Palestina e in seguito ritornò nei Territori Occupati dove, con altri compagni, iniziò a difendere i diritti del popolo palestinese attraverso azioni pacifiche di interposizione, proteggendo i piccoli scolari davanti ai tank israeliani, i contadini nella raccolta delle olive, manifestando con le persone del luogo contro il muro di separazione, aiutando gli anziani ad attraversare i check point. Azioni costate la vita ad attiviste come la statunitense Rachel Corrie.
Messo sulla lista nera degli indesiderabili da Israele, dopo due tentativi di ingresso nel 2005, dove venne picchiato e incarcerato, entrò a Gaza via mare il 23 agosto 2008 con le navi Liberty e Free Gaza, rompendo in questo modo il blocco via mare che dal 1967 Israele impone alla Striscia.
Quando il 27 dicembre 2008 Israele lanciò l’operazione Piombo Fuso, Arrigoni era l’unico italiano presente nella Striscia. Raccontò i giorni della sanguinosa aggressione israeliana in alcuni articoli pubblicati da Il Manifesto e raccolti successivamente nel libro “Gaza - Restiamo Umani”.
Ritornato nella Striscia a marzo 2010, Arrigoni continuò la sua missione di attivista per i diritti umani e di testimone, scrivendo e raccontando fino alla fine ciò che vedeva sul suo blog “Guerrilla Radio” e per le testata giornalistiche – italiane ed estere – disposte a ospitare i suoi contributi.
Prima della Palestina svolse esperienze di volontariato principalmente nei Paesi dell’Est europeo e nell’Africa sub sahariana sempre con lo YAP (Youth Action for Peace) e l’ong IBO. A partire dalla seconda metà degli anni Novanta, Arrigoni aiutò a ristrutturare infrastrutture ospedaliere, orfanotrofi, rifugi per senza dimora e centri sanitari per persone con disabilità.
“Un viaggio che più che intorno al globo si può identificare come all’interno dell’uomo”. In uno scritto del maggio 2004 ad un'amica l'attivista raccontò così la sua idea di volontariato.
“Il motore che mi ha spinto verso luoghi via via meno ospitali, a offrire la mia mano e la mia anima al servizio di opere benefiche, non è filantropia, né tantomeno il tanto vantato orgoglio di esibirsi come generosi, ma la mia nuda umiltà ordina di definirlo egoismo. Perché queste esperienze mi donano la pura essenza del vivere, che posso inquadrare in tre differenti fini o motivazioni. C’è un motivo culturale, elegante e volitivo, ed è quello che mischia alla sete di conoscenza, la constatazione che solo un’esperienza di volontariato può donarti (dal primo all’ultimo giorno dormi, lavori, mangi, fatichi, assorbi le sofferenze e ti esalti delle gioie improvvise, sempre a contatto con la popolazione locale, sempre al centro degli eventi e mai di contorno). Il fine umanitario è essenziale, non si può minimamente pensare, per esempio, di visitare l’Africa senza sporcarsi le mani di tutta la sua mortifera miseria, senza sentirsi bruciare arso dalla sete di giustizia, bucato lo stomaco dai morsi della fame. Bisogna allora lasciare tracce del proprio passaggio nei cuori, innanzitutto dei poveri incontrati e delle vittime di un’ingiusta guerra, mostrando loro come esiste un occidente alternativo, che si sa spogliare dei propri dettami culturali di superbia e arroganza, che sa porsi come accogliente ed empatico, lontano da ogni circuito di sfruttamento e via dalla macchina della guerra che succhia ogni riserva di soldi e di vite umane. Che porga le mani e non le ritragga sottraendo, ma che anzi sia in grado di porgere doni, che si mescola nell’anonimato per generare alleanza, sotto nessuna bandiera che non sia emblema di pace, solidarietà, convinta amicizia. Il motivo umano è quello”.
Nel corso degli anni sono stati dedicati a Vittorio Arrigoni numerosi libri e podcast. Le sue parole sono più attuali che mai, anche e soprattutto alla luce del genocidio del popolo palestinese in atto nella Striscia di Gaza e le brutali violenze perpetrate dall'esercito e dai coloni israeliani in Cisgiordania.
A portare avanti gli ideali di solidarietà e giustizia di Arrigoni c'è anche una Fondazione a lui intitolata, nata nel maggio 2012 e fortemente voluta da Egidia Beretta e Alessandra Arrigoni, rispettivamente madre e sorella di Vittorio. L'obiettivo è quello di onorare la sua memoria “e continuare la sua azione disinteressata di impegno civile a servizio del bene comune, dei diritti umani e della giustizia”. La Fondazione promuove e sostiene interventi umanitari non solo in Italia ma anche a livello internazionale. “Abbiamo cercato fin da subito progetti in diverse parti del mondo che potessero essere conformi allo spirito della Fondazione. Alcuni anche nei campi di lavoro internazionali frequentati da Vittorio”, spiega a Voice Over Egidia Beretta.
Congo, Nicaragua, Haiti, Benin, Etiopia e naturalmente Gaza. L'elenco dei progetti finanziati non finisce qui. Negli ultimi anni il tema delle migrazioni ha visto la Fondazione Vittorio Arrigoni in prima fila nel sostenere associazioni che organizzano campi profughi in Bosnia, sull'isola di Lesbo e soccorrono le persone migranti in mare. Nel 2021 la Fondazione ha infatti contribuito all'approvvigionamento del combustibile per una missione di ricerca e soccorso della ResQ People nel Mediterraneo Centrale.
“Nel 2023 abbiamo voluto sostenere il lavoro di Linea d'Ombra a Trieste”, dice Beretta. L'associazione di Lorena Fornasir e Gian Andrea Franchi ogni giorno, in Piazza Libertà, con i loro volontari, accoglie, soccorre, medica, nutre e veste i migranti provenienti dalla rotta balcanica. Sul sito della Fondazione si possono leggere le parole di Fornasir. “Al di là dell'importanza di una donazione per migranti in transito a Trieste, numerosi in questa stagione (donazione che li aiuti ad andare dov'è il loro progetto di vita), è un dono che ciò avvenga nel ricordo attivo di Vittorio Arrigoni, che per tutti noi è un riferimento esemplare dell'impegno quotidiano necessario contro la violenza senza limiti che si continua ad esercitare sui popoli del Medio Oriente, dell'Africa e anche d'altrove”.
Sempre nel 2023 Egidia Beretta e la fondazione da lei presieduta hanno sostenuto due progetti – uno alimentare e l'altro sanitario – nella Striscia di Gaza.
“Ma c'è anche un altro aspetto importante della Fondazione”, dice Beretta. “Mettere in atto anche azioni che mirino alla diffusione della cultura della giustizia, della pace e della solidarietà. Sento questo compito come un dovere morale nei confronti di Vittorio. E lo faccio soprattutto rispondendo a tutti gli inviti che ricevo dalle scuole di ogni ordine e grado”. Beretta racconta come suo figlio sia diventato il Vittorio più conosciuto, quello della Striscia di Gaza. Una storia che ripercorre il cammino anche faticoso compiuto dal figlio “per conoscersi all'interno”. Secondo Egidia Beretta “era questo il dilemma di Vittorio: 'io sono al mondo, non l'ho cercata io la vita ma le devo rendere qualcosa'”.
Beretta spiega ai ragazzi che non ci si improvvisa volontari. “Cerco di far capire che è bello avere un ideale, un'utopia e che bisogna coltivare fin da giovani questi sentimenti per diventare donne e uomini giusti, che non siano indifferenti, ma sappiano aprire le porte e le finestre e trovare ciascuno e ciascuna la propria Palestina. Per Vittorio infatti la Palestina può essere anche fuori dell'uscio di casa. Bisogna saper riconoscere quando intorno a noi ci sono i diritti calpestati, ignorati”.
La voce di Egidia Beretta si incrina leggermente solo al pensiero di quella notte tra il 14 e il 15 aprile del 2011. “Ma cerco di non pensare a quel Vittorio bendato e colpito. Mi provoca un'angoscia forte. Io lo immagino vivo come l'ho visto nelle immagini che mi arrivavano da Gaza”. Il dolore che l'accompagna da quattordici anni è alleviato almeno in parte dalla vicinanza delle persone. “C'è una comunità intorno a me. Non mi sento sola. È la cosa che mi fa stare un po' meglio in quei giorni”.
Per Egidia Beretta il lascito più prezioso di Vittorio sono la sua passione per i diritti umani (“vorrei che permeasse tante persone”) e la volontà di “non arrendersi all'indifferenza che ci circonda”. Beretta termina la conversazione con Voice Over leggendo un testo scritto nel 2008 dal figlio. “Ci sono esistenze più spendibili di altre, più dedite al sacrificio avendo testato sulla propria pelle tutta la sofferenza del mondo, e non riuscendo a scrollarsela di dosso, si impegnano per prevenirla, lenirla a chi sta più a cuore. La mia è una di queste esistenze. Tutto sta nel spenderle per qualcosa d’impagabile, come la lotta per la giustizia, la libertà. Sono convinto che cercare di lenire il dolore di un intero popolo oppresso da più di 60 anni, se é una buona ragione per vivere, lo é anche per morire”.