Gennaio 26, 2022
Giustizia Sociale
Ho imparato che la nostra umanità deve essere abbracciata prima di qualsiasi religione
La voce di Anfal Aziz, intervistata da Sara Manisera, FADA Collective
Officine di pace e un progetto nato in Iraq grazie all'ONG Un Ponte Per attiva dal 1991 nel paese, grazie al quale giovani iracheni e irachene di diverse culture, religioni ed etnie possono condividere insieme esperienze, imparare, fare sport, realizzare attività di volontariato per le proprie comunità e costruire insieme un altro Iraq, libero dalla violenza e dai conflitti fra le diverse etnie che lo popolano.
Voice Over Foundation ha scelto di sostenere le Officine di pace e i giovani in Iraq, perché crediamo che sia giusto offrire loro, nati e cresciuti a cavallo tra il 2003, e quindi privati di diritti, la possibilità di costruirsi il proprio futuro.
Intervista ad Anfal Aziz, educatrice.
D: Potresti presentarti? Chi sei e cosa fai?
R: Il mio nome e Anfal Aziz, sono nata il 20 giugno 1996, nel Governatorato di Ninive, distretto di Nimrud, villaggio di Sayed Hamad, in Iraq. Durante l'occupazione dello Stato Islamico, ho affrontato molti problemi, difficoltà e molestie, e sono diventata una vittima dell'ISIS. Non ho potuto completare i miei studi ed essere una donna istruita. Dopo la liberazione del Governatorato di Ninive, ho potuto ricominciare a studiare e mi sono diplomata prima alla scuola media, e poi sono stata accettata nell'istituto d'arte, nel dipartimento di educazione artistica. Grazie agli studi, sono entrata nella società civile, dove ho iniziato a lavorare come educatrice con l'organizzazione Un Ponte Per, nell'ambito del progetto "Officine di Pace". Attraverso questo progetto, inizialmente ho potuto ricostruire la mia personalità perché ero una persona molto timida. Ho anche avuto modo di conoscere persone di tutte le religioni e gruppi etnici e mi sono resa conto che non conoscevo persone di altre comunità. Grazie a questo percorso, ho capito che l'umanità deve essere abbracciata prima di abbracciare qualsiasi religione.
D: Può dirci di più sulla tua vita sotto lo Stato Islamico?
R: Durante l'occupazione dello Stato Islamico, l'ignoranza e la paura dominavano le nostre menti, l'ISIS ha piantato il terrore e l'odio nei nostri cuori e nei confronti di altre componenti della società. Grazie alle organizzazioni della società civile e grazie all'organizzazione Un Ponte Per, che è stata la prima ad operare nelle nostre zone, ho potuto trasformare questa ignoranza e questo odio in iniziative umanitarie, in pace e nell'accettazione del prossimo. Oggi sono molto felice perché vivo in una società abitata da tanti gruppi etnici e confessionali ed e come se fossimo un bouquet di fiori multicolori.
D: Perché hai deciso di impegnarti in attività per la costruzione della pace? Cosa significa per te il progetto Officine di Pace?
R: Abbiamo bisogno di progetti che riconnettano tutte le componenti della società, come il progetto Officine di Pace, che è stato in grado di rompere molte barriere tra di noi. Ha anche contribuito a formare moltissime donne e tramite esso abbiamo lavorato sulla costruzione della pace tra le diverse comunità che abitano la Piana di Ninive. Credo che la diversità sia una forza e mi impegnerò con il massimo dell'energia per preservare questa diversità. Ho anche lavorato nel campo dell'artigianato, insegnando la calligrafia kufica, il disegno e il lavoro a maglia, e ho contribuito alla formazione delle donne che erano vittime della società, dei costumi, delle tradizioni e dell'ISIS. A loro volta, queste donne sono diventate più forti coraggiose e sono ora consapevoli dei loro diritti. Come molte altre donne irachene, ho subito violenza, emarginazione, esclusione, ma ho imparato che dobbiamo essere forti, dobbiamo combattere l'estremismo ed essere parte del cambiamento perché le donne hanno l'energia per contribuire a cambiare le società.
Fotografia di: Arianna Aagani, FADA Collective.