Giugno 07, 2024
Giustizia Sociale
Elezioni europee imminenti: qual è l’influenza di Israele in Italia?
Approfondimento di Dalia Ismail
Negli ultimi anni, molteplici fonti di ricerca indipendente hanno messo in luce i legami e le connessioni tra i gruppi di pressione israeliani e le istituzioni europee, sollevando serie preoccupazioni sul processo decisionale e sulla politica estera dell'Unione Europea. Nel 2016, il rapporto "The Israel Lobby and the European Union", frutto della meticolosa ricerca dell'organizzazione indipendente Public Interest Investigations/Spinwatch e pubblicato da EuroPal Forum, rete indipendente di ONG che difendono i diritti umani dei palestinesi con sede a Londra, ha dettagliato l'influenza delle lobby pro-Israele all'interno dell'UE. Questo documento ha evidenziato come tali lobby, associazioni che esercitano pressione e influenza per promuovere gli interessi di Israele in diversi ambiti - politico, mediatico, bellico, accademico e altri - abbiano acquisito una notevole autorevolezza sui processi decisionali dell'Unione, consolidando la posizione di Israele come partner ragguardevole e minando il sostegno alla causa palestinese.
Inoltre, il rapporto ha rivelato il coinvolgimento, nelle lobby europee, degli imprenditori statunitensi Sheldon Adelson, Larry Hochberg, Nina Rosenwald, Daniel Pipes, Roger Hertog, Bernard Marcus, Irving Moskowitz, Newton e Rochelle Becker. Essi sono gli stessi ad essere implicati nelle lobby filo-israeliane degli Stati Uniti ed è stato dimostrato il loro regolare supporto ad organizzazioni impegnate nell'occupazione della Palestina e nella messa in moto della propaganda anti-palestinese e islamofoba.
Secondo l’indagine, questi affaristi avrebbero finanziato numerose campagne mediatiche e politiche di demonizzazione di Hamas e Hezbollah e di promozione della visione dell'Iran come un “pericolo imminente per Israele e l’Occidente”.
Tutti questi elementi sottolineano quanto sia essenziale condurre una rigorosa analisi critica sulle posizioni dei partiti europei su Israele, sulla causa palestinese, nonché sui diritti delle comunità arabe ed islamiche in Europa.
"L'influenza della lobby israeliana negli Stati Uniti è ormai ben documentata. Abbiamo visto recentemente, ad esempio, che la maggior parte dei candidati alla presidenza ha ritenuto necessario partecipare a una grande conferenza dell'AIPAC, il principale gruppo pro-Israele a Washington. Al contrario, la lobby israeliana in Europa ha ricevuto pochissima attenzione, nonostante sia cresciuta considerevolmente in circa l’ultimo decennio," ha affermato David Cronin, co-autore del rapporto, a Middle East Eye.
Il politologo Grégory Mauzé, in un articolo per la rivista Orient XXI, cita una fonte all'interno del Parlamento Europeo, che ha affermato come le lobby israeliane ricevano un trattamento privilegiato rispetto ai rappresentanti di altri interessi nazionali.
In Italia, l'influenza delle lobby pro-Israele è particolarmente evidente, se si pensa, ad esempio, al comunicato di Roberto Sergio, amministratore delegato della Rai, scritto e letto in diretta da Mara Venier, a seguito della protesta dell’ambasciatore di Israele in Italia, Alon Bar, infastidito dalla frase pronunciata da Ghali sul palco di Sanremo dove invitava a fermare il genocidio.
Tuttavia, la politica istituzionale continua a ignorare la questione, alimentando così uno status quo di repressione, intimidazione, violenza e silenzi.
Gli eventi recenti, come gli episodi di squadrismo che hanno vissuto l'attivista Karem Rohana e Chef Rubio, l'aggressione verbale, fisica e sessista della Brigata Ebraica al corteo pro-Palestina del 25 aprile a Roma, la repressione violenta degli studenti che manifestano per la Palestina, e le minacce di Riccardo Pacifici, ex presidente della comunità ebraica di Roma, ai professori Alessandro Orsini e Angelo D'Orsi, mettono in luce i pericoli affrontati da coloro che denunciano apertamente Israele e la sua politica criminale, riconosciuta come tale anche dalla Corte Penale Internazionale. La mancanza di una condanna chiara e forte da parte dei partiti politici italiani rivela il potere di queste lobby e il timore che probabilmente incutono. Infatti, nessun partito si è espresso in modo deciso contro le azioni violente dei gruppi filo-sionisti italiani, evitando di riconoscerne esplicitamente la matrice sionista, ideologia nazionalista e suprematista, identificata dalle Nazioni Unite, nel 1975, come una forma di razzismo e discriminazione razziale.
È chiaro, leggendo i programmi e le dichiarazioni dei partiti, che la politica italiana sia estremamente cauta nel condannare Israele; raramente si usa il termine "genocidio" e si esita a riconoscere il colonialismo d'insediamento israeliano, forma di colonizzazione in cui i coloni di un paese si trasferiscono in un territorio e vi stabiliscono delle comunità permanenti, a scapito della popolazione indigena, su cui viene esercitato un controllo politico, economico e territoriale, e la legittimità della resistenza palestinese. Questo atteggiamento indicherebbe una forte pressione in Italia da parte di gruppi specifici, accompagnata da un'autocensura per evitare conseguenze negative, come è avvenuto con la sospensione di Jeremy Corbyn dal partito laburista, nel Regno Unito.
La solidarietà storica verso la lotta palestinese e il punto di svolta con Berlusconi
In un'analisi storica e politica del rapporto tra Italia e Palestina del 2017, i giornalisti Romana Rubeo e Ramzy Baroud sostengono che storicamente l'Italia fosse il principale sostenitore europeo della lotta palestinese. Durante la “Prima Repubblica" (1948-1992), l'Italia aveva una posizione rilevante nella politica internazionale e riusciva a mantenere gli impegni con la NATO e contemporaneamente a coltivare relazioni con i paesi arabi. Tuttavia, negli ultimi decenni, c'è stato uno spostamento verso posizioni filo-israeliane.
Il cambio di posizionamento è attribuito al governo di Berlusconi e alla sua stretta alleanza con gli Stati Uniti, nonché alla volontà di ottenere legittimazione dalla comunità ebraica italiana per presentarsi come un partito di destra europeo moderno, scrive il professor Arturo Marzano per la rivista accademica Israel Studies. L'avvicinamento a Israele è stato infatti percepito come un segnale di affidabilità e stabilità, capace di attirare il favore di importanti settori della società italiana e di consolidare le relazioni con gli Stati Uniti. Questa mossa strategica ha permesso a Berlusconi di presentarsi come un leader pro-americano e difensore dei valori occidentali.
Inoltre, la crescita esponenziale dell’islamofobia nella società civile, a seguito dell’11 settembre 2001, ha anche contribuito a spingere il governo verso una posizione più vicina ad Israele, visto come alleato nella battaglia occidentale contro il “fondamentalismo islamico”.
Questo spostamento, così come la posizione di riguardo delle comunità ebraiche filo-sioniste italiane nella politica dell’Italia, è stato anche rimarcato dall’ex presidente della Repubblica Francesco Cossiga che, nel 2008, in un'intervista al quotidiano israeliano Yedioth Ahronoth, ha accusato l'Italia di aver "tradito" gli ebrei italiani, facendo riferimento al presunto "Lodo Moro", un accordo segreto, mai confermato, tra l'Italia e l'Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP), in cui l'Italia concedeva alle milizie palestinesi il permesso di transitare attraverso il territorio italiano con armi ed esplosivi, in cambio della garanzia che non avrebbero compiuto attentati in Italia, e attribuendo erroneamente al FPLP la Strage di Bologna del 1980.
Negli ultimi ventitré anni, vi è stato dunque un cambiamento radicale nella politica italiana, con un maggiore allineamento con Israele, che ha portato a una riduzione delle tensioni sia con Israele che con gli Stati Uniti.
Una questione di mediocrità politica
La mancanza di una posizione netta e lungimirante sulla questione palestinese e la condanna dell'attacco del 7 ottobre come premessa alla critica di Israele vanno contestualizzati all'interno di un quadro più ampio di mediocrità politica, tipica di un'era post-ideologica in cui i partiti e la politica mancano di visioni ampie del mondo. Questo cambiamento si riflette chiaramente anche nelle dinamiche della politica estera italiana.
In passato, leader come Sandro Pertini, si esprimevano sulla questione palestinese in base a una visione del mondo ben definita, spesso indipendente dalle influenze esterne. Tuttavia, oggi osserviamo un'influenza sempre maggiore degli interessi statunitensi sulla politica estera italiana, con una conseguente mancanza di visioni indipendenti e lungimiranti. Questa trasformazione riflette una perdita di leadership visionaria e una crescente dipendenza dalle dinamiche geopolitiche globali.
Giri di parole per attutire la critica ad Israele
I partiti della sinistra istituzionale candidati alle elezioni europee, come “Alleanza Verdi Sinistra”, “Pace Terra Dignità”, così come il “Movimento 5 Stelle”, si distinguono per la loro ferma condanna alle azioni di Israele. Tra le proposte c'è la richiesta di cessate il fuoco nella Striscia di Gaza e la fine della violenza nella Cisgiordania Occupata attraverso pressioni economiche e diplomatiche.
Tuttavia, le modalità variano. Alcuni puntano ad una condanna più esplicita degli eventi del 7 ottobre, mentre altri si concentrano sul riconoscimento della Palestina. In ogni caso, sembra che ci sia una tendenza a pesare attentamente le parole utilizzate, per timore di un'esposizione eccessiva.
Il partito "Pace Terra Dignità" si schiera apertamente contro Israele e, a differenza degli altri, mette al centro il diritto dei palestinesi al ritorno nelle proprie terre e case, la liberazione dei prigionieri politici palestinesi detenuti nelle carceri israeliane e propone la soluzione dello Stato unico binazionale. Nell'introdurre la propria posizione, chiede all'Europa di condannare l’attacco del 7 ottobre e di sostenere il diritto degli israeliani a vivere in pace e sicurezza.
Alleanza Verdi Sinistra, invece, opta per la tradizionale soluzione dei due stati e chiede il riconoscimento di uno Stato palestinese, delimitato dai confini stabiliti nel 1967. Nicola Fratoianni, inoltre, ha sostenuto pubblicamente le mobilitazioni per il boicottaggio di Israele nelle università. Tuttavia, sul suo profilo Instagram, ha leggermente distorto le rivendicazioni dell’Intifada studentesca, affermando che essa chiede la fine della complicità, in particolare con Netanyahu.
In realtà, le manifestazioni studentesche, come espresso nel comunicato dei Giovani palestinesi d'Italia, movimento militante pro-Palestina, chiedono la fine della complicità con Israele e il suo colonialismo di insediamento, il quale continua anche senza Netanyahu.
Nonostante Fratoianni menzioni la Nakba, la cacciata di 700.000 palestinesi dalle loro case da parte di Israele nel 1948, che rappresenta l'inizio ufficiale della questione palestinese, e implicitamente riconosca il rapporto oppressore-oppresso tra palestinesi e israeliani, la sua critica si concentra principalmente sull'attuale governo di ultra destra israeliano.
Premesse di questo tipo sembrano fatte per evitare conseguenze negative. Tuttavia, questo approccio contribuisce a mantenere lo status quo di repressione, intimidazione e violenza nei confronti di chi si esprime e si batte per la liberazione della Palestina. Si perpetua così una situazione storica, in cui chi desidera entrare nelle istituzioni deve parlare di Palestina in un certo modo, mentre chi non accetta questo compromesso rischia di essere escluso da determinati ambienti.
Pressione interna ai partiti
Durante l'offensiva israeliana sulla Striscia di Gaza del 2021, i Giovani Democratici di Milano si sono dissociati pubblicamente dalla posizione del Partito Democratico, esprimendo una condanna verso Israele.
Quest'anno, Daniele Nahum, ex politico del PD ed ex presidente dell'Unione dei Giovani Ebrei d'Italia, ha definito "incommentabile" un'iniziativa organizzata sempre dai Giovani Democratici di Milano, intitolata "Colonialismo e Apartheid in Palestina”. Nahum ha fatto pressione affinché l'evento non venisse fatto in nessuna sede o circolo del PD, riuscendo nel suo intento.
L'11 marzo 2024, Nahum ha annunciato il suo ritiro dal partito proprio a causa dell’uso, da parte di alcuni membri, del termine "genocidio" per descrivere le azioni di Israele.
Questi fatti fanno intuire che, nonostante le dimensioni ridotte, se comparata con altre comunità presenti a Milano, la comunità ebraica ha un'influenza significativa all'interno dei partiti politici.
Dare un nome alla violenza per combatterla
Condannare la violenza senza definirne la matrice sionista, ovvero un’ideologia suprematista e razzista, ha un obiettivo ben preciso. Se non si riconosce la violenza dell’ideologia sionista e dei gruppi che la mettono in pratica, non sarà mai possibile affrontarla e combatterla. È necessario, pertanto, che le istituzioni e la politica si esprimano chiaramente contro i gruppi sionisti affinché si ponga fine all’attuale repressione e al timore di subire conseguenze, quando ci si espone, si denuncia e si prende parola. Come diceva Giovanni Falcone riguardo alla mafia: “Bisogna rendersi conto che esso è un fenomeno terribilmente serio e molto grave; e che si può vincere non pretendendo l’eroismo da inermi cittadini, ma impegnando in questa battaglia tutte le forze migliori delle istituzioni”.