Luglio 06, 2021
Giustizia Climatica
SIAMO TUTTI CUSTODI DELLA CASA COMUNE CHIAMATA TERRA
Approfondimento di Sara Manisera, FADA Collective
"Nel pieno dell'emergenza globale del Covid-19, una notizia è passata del tutto inosservata: quello del 2020 è stato in Europa l'aprile più caldo da quando si fanno rilevazioni". Si apre così il libro di Stefano Liberti "Terra Bruciata. Come la crisi ambientale sta cambiando l'Italia e la nostra vita" (Rizzoli). L'autore viaggia da Nord a Sud d'Italia, dai ghiacciai alpini che si stanno ritirando alle coste erose dall'innalzamento del livello marino, da Venezia funestata dalle acque alte alla Sicilia, in via di desertificazione. Come chiarisce Liberti "la crisi sta colpendo i nostri territori con un andamento che non è lineare ma geometrico, ossia ha impatti socio-economici che crescono in modo sproporzionato e catastrofico". Inoltre, crisi ambientale e sanitaria sono strettamente correlate perché interpellano il nostro modello di sviluppo fatto di deforestazione, urbanizzazione incontrollate, allevamento e agricoltura intensivi, inquinamento e industria estrattiva. "Se il salto di specie, la cosiddetta zoonosi", prosegue Liberti, "è figlio della deforestazione, della marcata urbanizzazione, dell'assottigliarsi del confine tra spazi selvatici e spazi abitati dagli esseri umani, il surriscaldamento globale è l'effetto di quello stesso approccio estrattivo che nell'ultimo secolo ha portato a disboscare aree enormi del pianeta, travolto gli eco-sistemi e moltiplicato in modo esponenziale le emissioni di gas climalternanti".
La crisi ambientale e sanitaria, non riguardano solo l'Italia. Entrambe sono crisi globali. Il 2020 ha visto, infatti, molti disastri ambientali in giro per il mondo, tra cui tempeste tropicali, uragani, frane, invasione di locuste, inondazioni mortali, siccità estreme, incendi. Migliaia di persone sono rimaste uccise e altri milioni sono state sfollate a causa di questi disastri. Indonesia, Pakistan, Filippine, Brasile, Svizzera, Francia, Germania, Uganda, Italia, Iran, Iraq, Stati Uniti, Turchia, Zambia, Gran Bretagna, India, Bangladesh, Vietnam, Cambogia, Nuova Zelanda, Belgio, Libano sono solo alcuni dei Paesi più colpiti nel 2020 da eventi climatici e ambientali estremi. Ma le conseguenze non sono uguali ovunque.
Il Global Assessment Report on Disaster Risk Reduction (GAR) è il rapporto di punta delle Nazioni Unite sugli sforzi mondiali per ridurre il rischio di disastri. Nel report si legge che "in termini di perdite, persistono gravi disuguaglianze tra i paesi a basso e ad alto reddito, con i paesi a più basso reddito che sopportano i maggiori costi relativi dei disastri. Le perdite umane e patrimoniali rispetto al prodotto interno lordo tendono ad essere maggiori nei paesi con meno capacità di prepararsi, finanziarsi e rispondere ai disastri e al cambiamento climatico, come i piccoli Stati insulari in via di sviluppo. È necessario uno sforzo maggiore per andare oltre l'analisi delle perdite e dei danni diretti, per comprendere l'impatto in modo più olistico".
Il rapporto usa qui una parola importante: olistico. Dal greco: totale, tutto, totalitario, intero. Se è necessario e sacrosanto comprendere l'impatto in modo totale, oggi, tuttavia, è imprescindibile e urgente comprendere le origini di questi disastri e affrontarli in modo olistico e integrale. E ciò significa analizzare tutti quei fenomeni connessi al modello economico contemporaneo che stanno distruggendo "la casa comune chiamata Terra".
Papa Francesco nell'Enciclica Laudato Sì affronta con una lucida e visionaria lungimiranza politica la questione.
"La politica non deve sottomettersi all'economia e questa non deve sottomettersi ai dettami e al paradigma efficientista della tecnocrazia. Oggi, pensando al bene comune, abbiamo bisogno in modo ineludibile che la politica e l'economia, in dialogo, si pongano decisamente al servizio della vita, specialmente della vita umana. (...) Il principio della massimizzazione del profitto, che tende ad isolarsi da qualsiasi altra considerazione, è una distorsione concettuale dell'economia: se aumenta la produzione, interessa poco che si produca a spese delle risorse future o della salute dell'ambiente; se il taglio di una foresta aumenta la produzione, nessuno misura in questo calcolo la perdita che implica desertificare un territorio, distruggere la biodiversità o aumentare l'inquinamento. Vale a dire che le imprese ottengono profitti calcolando e pagando una parte infima dei costi. Si potrebbe considerare etico solo un comportamento in cui i costi economici e sociali derivanti dall'uso delle risorse ambientali comuni siano riconosciuti in maniera trasparente e siano pienamente supportati da coloro che ne usufruiscono e non da altre popolazioni o dalle generazioni future".
E lo fa dando una serie di indicazioni su come ripensare al sistema economico attuale:
"Perché continui ad essere possibile offrire occupazione, è indispensabile promuovere un'economia che favorisca la diversificazione produttiva e la creatività imprenditoriale. Per esempio, vi è una grande varietà di sistemi alimentari agricoli e di piccola scala che continua a nutrire la maggior parte della popolazione mondiale, utilizzando una porzione ridotta del territorio e dell'acqua e producendo meno rifiuti, sia in piccoli appezzamenti agricoli e orti, sia nella caccia e nella raccolta di prodotti boschivi, sia nella pesca artigianale. Le economie di scala, specialmente nel settore agricolo, finiscono per costringere i piccoli agricoltori a vendere le loro terre o ad abbandonare le loro coltivazioni tradizionali. I tentativi di alcuni di essi di sviluppare altre forme di produzione, più diversificate, risultano inutili a causa della difficoltà di accedere ai mercati regionali e globali o perché l'infrastruttura di vendita e di trasporto è al servizio delle grandi imprese. Le autorità hanno il diritto e la responsabilità di adottare misure di chiaro e fermo appoggio ai piccoli produttori e alla diversificazione della produzione. Perché vi sia una libertà economica della quale tutti effettivamente beneficino, a volte può essere necessario porre limiti a coloro che detengono più grandi risorse e potere finanziario. La semplice proclamazione della libertà economica, quando però le condizioni reali impediscono che molti possano accedervi realmente, e quando si riduce l'accesso al lavoro, diventa un discorso contraddittorio che disonora la politica".
Ciò che auspica Papa Francesco è uno sforzo collettivo della politica, dell'economia, degli intellettuali per ripensare a una nuova cultura dell'umanità e rivalutare i criteri obsoleti che continuano a governare il mondo. Non più cultura del profitto e dello scarto ma una cultura che riporti al centro gli esseri umani e l'ambiente. Una cultura umanistica, che unisca diritti delle persone e diritti ambientali, volta al bene comune. E a partire da questa cultura, costruirci un nuovo modello economico, di vita e di consumo. Ciò che sta accadendo alla nostra "casa comune" ci pone di fronte all'urgenza di procedere verso una coraggiosa rivoluzione culturale. Ed essa può avvenire solo con una nuova visione che il pontefice chiama "Ecologia integrale", basata sulla profonda convinzione che tutto il mondo - natura, vegetazione, animali e uomo - sia intimamente connesso. La Terra è la casa comune, non semplice oggetto da usare e sfruttare.