Febbraio 10, 2023
Giustizia Climatica
Può esistere una città senza auto? La mobilità tra realtà e utopia
Approfondimento di Michela Grasso, SPAGHETTIPOLITICS
La mattina del 19 gennaio, i residenti della zona Risorgimento di Milano sono usciti per andare al lavoro, e con molta sorpresa hanno trovato le ruote dei loro SUV sgonfiate. Sui parabrezza c’erano dei volantini firmati dallə suvversivə, un gruppo ambientalista che sgonfia gli pneumatici dei SUV come atto di protesta. Pochi giorni dopo, il 24 gennaio, in via Galvani è stata formata una ciclabile umana, ovvero un cordone di persone ha protetto dalle 7.30 alle 9.00 lo spazio dedicato alle biciclette, che quotidianamente è impraticabile a causa di parcheggi e soste selvagge. La ciclabile umana è stata fatta in contemporanea nelle città di Roma, Firenze, Cagliari, Torino e Treviso. Tutto questo succede mentre da settimane si dibatte sulla scelta di rendere Milano una città a 30 km orari, ovvero dove le macchine non potranno superare questo limite di velocità.
Sembra che Milano e molti milanesi si stiano lamentando sempre di più di come lo spazio pubblico viene utilizzato, in particolare quando si tratta di mobilità. Nonostante l’invidiabile rete di trasporti pubblici, Milano è carente dal punto di vista ciclabile. Le piste ciclabili esistono, ma sono spesso malconce, non collegate tra loro e non adeguatamente mappate, senza dimenticarsi di come diventino parcheggi alternativi nelle zone più trafficate. Per questo, diversi cittadini hanno iniziato un dibattito intorno all’autocentricità di una delle città più popolose d'Italia, che inevitabilmente porta a ripensare al ruolo che la mobilità gioca nel creare o distruggere spazi vivibili.
«Per la nostra azione», spiegano a Voice Over Foundation lə suvversivə, «ci ha ispirato il libro di Andreas Malm ‘Come far saltare in aria un oleodotto’, libro fondamentale per capire i movimenti dell’ultimo periodo. Eravamo stanchə di vedere le diseguaglianze delle emissioni, e che si continuasse sempre a dire che siamo tuttə responsabili allo stesso modo». La scelta del SUV come bersaglio ha diverse motivazioni, spiegate nel loro volantino. In primis, macchine così grandi e con una forma poco aerodinamica, inquinano moltissimo. Secondo una ricerca riportata dal Guardian, se i SUV fossero una nazione, sarebbero settimi al mondo per emissione di CO2. Inoltre, la domanda per i SUV è altissima, nel 2018 si è raggiunto un numero di 35 milioni di SUV venduti, il che equivale a 4 su 10 macchine vendute. I SUV, secondo lə suvversivə, ma anche secondo diverse ricerche, sono più pericolosi rispetto ad altre auto. Nonostante ci siano meno incidenti con i SUV, la percentuale di fatalità è più alta quando sono coinvolti. L’autista di un SUV ha l’11% di probabilità in più di morire in un incidente rispetto all’autista di un’auto più piccola, e i bambini sono otto volte più a rischio di morte in un incidente con un SUV o un pick-up. Ma per lə sovversivə c’è un altro punto: il Suv rappresenta uno status symbol, è sinonimo di ricchezza e non è corretto che auto di questo genere vengano guidate nelle città, durante un’emergenza climatica, per simboleggiare l’appartenenza a una classe sociale".
Si può essere d’accordo o no con lə suvversivə, ma è difficile negare l’evidenza dei fatti: le città sono dominate dalle auto, e più le auto sono grosse, meno spazio resta per quei cittadini che scelgono di spostarsi diversamente.
La pianificazione urbana di una città è un processo politico, e va trattato in quanto tale. Una città ben connessa, accessibile a tutti, sicura dal punto di vista stradale e ambientale, è una città che dà possibilità a tutti i suoi cittadini di vivere una vita serena.
«La città è uno spazio che crea uniche possibilità per lo sviluppo umano», spiega Luca Bertolini, professore di planning urbano all’Università di Amsterdam, «La massa critica e la diversità presenti in una città hanno un enorme potenziale per la creazione di nuove combinazioni e realtà. La città è uno spazio dove si può trovare e creare la propria strada. Per questo devono esserci spazi dove la potenzialità di ognuno ha la possibilità di esprimersi, non possono essere create da una sola mente e da un solo gruppo di persone».
Le città Europee e occidentali non sono sostenibili e compatibili con le risorse limitate del nostro pianeta, dallo spreco di risorse, all’inquinamento, alla disuguaglianza tra ricchi e poveri. Eppure, scrive il professore, facilitare la ripetizione di questi modelli non fa che legittimarli e renderli desiderabili.
Secondo Luca Bertolini una delle sfide che dovranno essere risolte, è la disuguaglianza tra diverse zone delle città: «Nelle grandi città, è difficile avere una vita di qualità in periferia senza spostarsi altrove tutti i giorni. In questo modo, la periferia dipende dal centro, rendendo il centro sempre meno accessibile. Le sfide sono due, da un lato arricchire la periferia e dall’altro rendere i centri più accessibili. Quando si parla di arricchire e rendere più accessibile non si fa un discorso puramente economico ma anche culturale. Una persona deve essere capace di sentirsi a casa in periferia, e in centro, al momento, data la differenza tra i due spazi, questo diventa difficile».
Il continuo spostamento di persone per andare al lavoro, all’ospedale, a scuola, e per svolgere una qualsiasi attività è una conseguenza dei tempi in cui viviamo. Forse ci muoviamo troppo? Una sfida del nostro tempo è quella di sconnettere la mobilità motorizzata dal suo impatto ambientale, cosa che al momento non siamo ancora riusciti a fare, spiega il professore. Anche le auto elettriche hanno un forte impatto sull’ambiente, seppure meno visibile (ad esempio nella produzione e smaltimento delle batterie, nel reperimento delle materie prime basato sull’estrattivismo a forte impatto ambientale e sociale). Dipendere così tanto dallo spostamento quotidiano, ci fa interrogare sulla qualità della nostra vita. Non trovare quello che serve per vivere vicino a sé, nemmeno le proprie relazioni sociali, porta a non sentirsi a casa da nessuna parte, ed ha un forte impatto sulla percezione che abbiamo della città e sulla nostra mente.
Per questo l’azione dellə suvversivə e quella della ciclabile umana, portano a riflettere sulla città in cui viviamo. A che punto si è arrivati se bisogna proteggere una pista ciclabile dalle macchine che vogliono parcheggiarvisi sopra? Chi ha il diritto a muoversi in sicurezza nelle nostre città?
Giovanni Mandelli, 28 anni, vive a Milano e dal 2020 lavora al comune di Reggio Emilia dove si occupa di progetti di mobilità. «Ho portato avanti alcuni progetti di urbanismo tattico. Per esempio, mi sono occupato di moderazione del traffico in una via del centro storico in cui le macchine andavano molto veloci. Per ridurre la loro velocità, abbiamo tolto i parcheggi sostituendoli con dei parklets, ovvero delle piattaforme dove i locali possono mettere dei tavolini fuori. In aggiunta, abbiamo posizionato delle fioriere da entrambi i lati, così da non avere una traiettoria dritta e costringere le auto a procedere più lentamente. Un altro progetto è stato quello di risolvere un problema di traffico di fronte a una scuola superiore, dove agli orari di entrata e uscita degli studenti si formava il delirio. Per farlo, tramite un percorso di partecipazione di cittadini e commercianti, abbiamo tolto il parcheggio nel giro di due anni, creando uno spazio con alberi e fioriere. È una cosa fastidiosa a primo impatto, ma poi porta i suoi frutti, ovvero la creazione di spazi più sicuri ed aperti a tutti».
L’urbanismo tattico è un approccio alla pianificazione dello spazio cittadino che mette al centro l’abitante e prevede azioni che migliorino gli spazi pubblici, per renderli più utili, sicuri e piacevoli. Il beneficio maggiore di questo approccio è la sua natura temporanea, nessun progetto è definitivo e perenne, ma può cambiare con le esigenze e i bisogni dei cittadini, rendendoli partecipi nella trasformazione dello spazio in cui vivono. Per questo, progetti come l'appropriazione di un parcheggio di fronte a una scuola da parte dei cittadini, per renderlo uno spazio di verde pubblico aperto a tutti, diventano semi di resistenza in diverse città.
Spostarsi nello spazio intorno a noi non è solo una questione di arrivare da A a B. Come ci muoviamo modella la nostra quotidianità e ci regala una determinata esperienza della città. Una città dove ci si può muovere in bici in sicurezza, dove non c’è bisogno di essere imbottigliati nel traffico in una fila infinita di auto che trasportano una sola persona e dove la strada è uno spazio condiviso e organizzato dai cittadini, è una città dove ogni individuo può sviluppare le proprie potenzialità più facilmente.
Giovanni ha studiato architettura e da anni si interessa alla mobilità, in particolare la bicicletta. Nel 2019 ha aperto una pagina Instagram chiamata stradapertutti, dove racconta la sua esperienza di ciclista in Italia, e conduce una Challenge mensile per dimostrare quanta CO2 non venga emessa muovendosi in bici. Per esempio, in tutto il 2022 lui e gli aderenti alla challenge hanno percorso 220,478 km in bicicletta, non emettendo 26,457 kg di Co2 nell’ambiente. «Secondo me», spiega Giovanni, «quello che serve è un cambiamento culturale. I cittadini devono avere gli strumenti per capire che prendere la macchina non è sostenibile. A Milano, la cultura della bici si sta diffondendo, ma andare in bici resta spesso pericoloso. Quando esco in bici devo sempre stare molto attento, devo guardarmi spesso le spalle, indossare delle luci la notte e segnalare ogni mio movimento, non vado in bici molto serenamente».
In Italia ogni giorno 8 persone muoiono in un incidente stradale. «I giornali devono cambiare la narrazione degli incidenti. Non si può scrivere solamente ‘pedone muore investito’, togliendo la responsabilità all’auto e all’autista. Il problema di questi incidenti è in primis l'automobile e la gestione di uno spazio che non permette di muoversi in sicurezza a piedi e in bici». I cambiamenti culturali partono spesso dagli strumenti di comunicazione, come i giornali, raccontare una notizia in una maniera piuttosto che in un’altra, cambierà la percezione del fatto da parte del lettore.
Vivendo nella società dell’efficienza e della produttività, andare veloci è quasi un obbligo. Svegliarsi presto al mattino e passare ore nel traffico è un’esperienza condivisa da milioni di persone ogni giorno. Si celebrano progetti che allargano le strade, aggiungendo carreggiate, e si detesta la rimozione di parcheggi per la costruzione di ciclabili. Aumentare l’infrastruttura dedicata alle auto, non fa che rendere le nostre città ancora più autocentriche, nonostante le automobili siano parcheggiate in media il 95% del tempo.
E mentre la politica nazionale, ancora una volta, predilige progetti faraonici, altamente impattanti, come il ponte sullo stretto di Messina, le cittá italiane rimangono inaccessibili a molti. Forse, con il PNRR si potranno vedere dei cambiamenti, ma solo se si investirá adeguatamente in progetti locali e sostenibili per ripensare il nostro modello di mobilità. Per ora, 1,3 miliardi di euro sono stati stanziati per le cittá con più di 100.000 abitanti per l'acquisto di nuovi autobus e mezzi non inquinanti. Per la mobilità in bicicletta, sono stati stanziati 600 milioni di euro per la costruzione di 1,235 km di ciclovie turistiche e 565 km di ciclovie urbane. Progetti che potrebbero realmente funzionare, ma solo nel momento in cui coinvolgeranno enti locali per capire a pieno le esigenze di ogni territorio, creando una spinta dal basso e non dall’alto.
Il miglioramento della vita non dipende da quanto in fretta si possa arrivare in un’altra città a lavorare, un pensiero simile non farà altro che incentivare la cultura dell’efficienza e della produttività. Allo stesso modo, non dipende dal modello o dal numero di automobili possedute, o dal numero di strade e parcheggi presenti sulle vie cittadine. Vivere in una città sicura, dal punto di vista stradale e ambientale, dove la strada appartiene alla collettività di persone e di auto, può sembrare un miraggio. L’immagine di spazi verdi, divisi tra pedoni, ciclisti e mezzi pubblici, dove la mobilità è piacevole e non una costrizione, sembra uscire da un libro Solar Punk, dove il futuro è immaginato come sostenibile e equo. Eppure, le mobilitazioni non violente degli ultimi mesi, indicano una chiara volontà di cambiamento da parte di un numero crescente di cittadini. Riusciranno a rendere l’utopia, realtà?