Gennaio 10, 2024
Giustizia Climatica
L’ecocidio distrugge l’ecosistema, quindi anche noi: perché dovremmo preoccuparci dell’estinzione di un roditore e un rospo
Approfondimento di Stella Levantesi
Un roditore e un rospo. Il roditore viveva su un’isola al largo dell’Australia, pesava solo 100 grammi. Il bramble cay melomys è probabilmente il primo mammifero al mondo a essersi estinto a causa dei cambiamenti climatici, hanno riferito gli scienziati nel giugno del 2016. Il rospo dorato in Costa Rica dipendeva dalla pioggia per riprodursi. A causa delle alterazioni meteorologiche portate dalla crisi climatica, il rospo dorato non ha più potuto riprodursi ed è andato estinto.
Ma perché dovrebbe importarci che fine fanno i roditori o i rospi?
“Bruciare la libreria della vita”
Secondo la cifra più comunemente citata, sulla Terra ci sono 8,7 milioni di specie (altre stime oscillano tra 5,3 milioni e un trilione). Le popolazioni di fauna selvatica sono crollate in media del 69% tra il 1970 e il 2018, secondo i dati più recenti del Living Planet Report, uno studio biennale sulle tendenze della biodiversità globale e sulla salute del pianeta del WWF.
Secondo il rapporto, in America Latina e nei Caraibi, il declino della biodiversità è superiore a qualsiasi altra regione nel mondo: tra il 1970 e il 2018 si è registrata una diminuzione del 94%.
Lo studio individua la causa principale della perdita di fauna selvatica nelle attività umane come la distruzione degli habitat naturali, in gran parte per creare terreni agricoli e sfruttare la terra. Secondo un altro studio, infatti, le specie muoiono con una frequenza fino a 1000 volte superiore rispetto a prima dell’esistenza degli esseri umani sulla Terra 60 milioni di anni fa.
Perché, dunque, ripeto, ci dovremmo preoccupare dell’estinzione di un roditore e di un rospo?
È molto semplice: perché tutto ciò che consente agli esseri umani di sopravvivere arriva da altre specie e dall’equilibrio tra queste specie e il loro habitat naturale – inclusi il roditore e il rospo.
Nel libro “Ecocide. A Short History of the Mass Extinction of Species”, l’autore Franz J. Broswimmer risponde a domande come questa e scrive che “come tutte le specie, dipendiamo collettivamente da altre specie per la nostra esistenza”.
Le altre specie, scrive, “producono l'ossigeno che respiriamo, assorbono l'anidride carbonica che espiriamo, decompongono i nostri rifiuti, producono il nostro cibo, mantengono la fertilità del nostro suolo e forniscono il nostro legno e la nostra carta”.
“L’uomo non solo fa parte della biodiversità, ma ne dipende profondamente”, aggiunge Broswimmer. Un altro motivo, spiega, forse ovvio ma fondamentale, è che le estinzioni sono irreversibili. “Quando un ecosistema viene distrutto, ricrearlo è impossibile o estremamente difficile”, scrive.
La biodiversità, poi, non permette solo il sostentamento e la vita degli esseri umani, ma compone “il sapere della Terra”. Gli umani, hanno scritto alcuni ricercatori, stanno “bruciando la libreria della vita”.
Molte delle cause che spingono la perdita di biodiversità e la distruzione degli ecosistemi tra cui la pesca eccessiva e lo sovrasfruttamento, le fuoriuscite di petrolio, l’inquinamento chimico e della plastica, l’estrazione mineraria, il disboscamento, l’inquinamento agricolo e l’inquinamento atmosferico, sono le stesse che stanno portando gli ecosistemi al collasso.
Queste attività distruttive, dicono alcuni esperti, possono essere affrontate all’interno di una “legge sull’ecocidio”.
Ecocidio: una voce per gli ecosistemi nel diritto internazionale
Per “ecocidio” si intende il danneggiamento e la distruzione degli ecosistemi - un danno alla natura che è diffuso, grave o sistematico.
Stop Ecocide International (SEI), co-fondata nel 2017 dall’avvocata pioniera Polly Higgins, morta nel 2019, e dall’attuale direttrice esecutiva Jojo Mehta, si batte dal 2017 per rendere l’ecocidio un crimine internazionale. L’ecocidio, commesso ripetutamente nel corso di decenni, dice SEI, è la causa principale dell’emergenza climatica ed ecologica che stiamo affrontando.
“Una legge per l’ecocidio riconoscerebbe per la prima volta all’ambiente una voce propria all’interno del diritto penale. Ma più in generale, fornirebbe un parametro di ciò che è o non è un’azione accettabile”, spiega a Voice Over Anna Maddrick, esperta legale per SEI e advisor per il clima alla missione della Repubblica di Vanuatu presso le Nazioni Unite.
Secondo Maddrick, è importante tenere a mente che nella legge per l’ecocidio non è necessaria una materializzazione del danno ma basta il “reato di messa in pericolo” o di rischio del danno. Questo perché, ha spiegato, il danno ambientale può richiedere anni per concretizzarsi completamente e perché molti danni ambientali sono, tra l’altro, “cumulativi”.
“Poiché la legge sull'eccidio si riferisce a un singolo atto criminale, in futuro potrebbe verificarsi una situazione in cui la decisione di aprire una miniera di carbone o una riserva di petrolio e gas potrebbe rientrare nella legge sull’’ecocidio”, aggiunge Maddrick.
L’ecocidio del clima
Proprio perché “il crimine ambientale”, inclusa l’attività dell’industria di combustibili fossili, sta guidando in larga misura il collasso climatico, l’ecocidio è legato a doppio filo anche al cambiamento climatico.
Secondo Maddrick, le leggi esistenti non sono sufficienti ad affrontare il problema. Il quadro normativo attuale in materia ambientale è fondato sul principio “chi inquina paga” ma una legge sull’ecocidio, ha sottolineato, ha come base l’idea che chi inquina non dovrebbe inquinare, e si va direttamente alla causa del danno ambientale piuttosto che, ad esempio, ai soli effetti delle emissioni.
Non è un caso, infatti, che tra i primi Stati a favore di una legge internazionale sull’ecocidio c’è Vanuatu, nazione insulare del Pacifico che, come altri stati insulari, sta subendo per prima a livello globale gli effetti della crisi climatica.
“Vanuatu è il primo Stato a chiedere pubblicamente una legge sull’ecocidio, ed è stato un nostro stretto alleato. I piccoli Stati insulari sono particolarmente a rischio di cambiamenti climatici di origine antropica. Ne hanno già vissuto gli effetti e le ondate, senza paragoni con il resto del mondo”, spiega Maddrick. Ma questo non è il solo motivo che spinge Vanuatu ad appoggiare una legge sull’ecocidio.
“Sono favorevoli per una serie di ragioni, anche per il fatto che la legge sull’ecocidio parla di un riconoscimento dell’ambiente come valore in sé. Il diritto è sempre inquadrato attraverso una prospettiva umana. I piccoli Stati insulari, in particolare, sono molto interessati al diritto ecologico, non solo perché fornisce quel grado di applicabilità per la giustizia climatica e ambientale, ma anche perché parla di un diverso tipo di riconoscimento per l’ambiente”, evidenzia Maddrick.
Nonostante il fatto che l’ecocidio sia, in maniera evidente, un atto dannoso, il processo per farlo diventare un crimine internazionale è lungo e complesso.
“È piuttosto difficile discutere con l'idea che un grave danno alla natura debba essere un reato penale, è un reato penale bruciare una casa, dovrebbe essere lo stesso per una foresta, in ultima analisi. Ma il processo politico e burocratico consiste nell'assicurarsi che una volta proposto un emendamento alla legge sull’ambiente, questo venga sostenuto. Si tratta quindi di una questione di tempi, ma stiamo lavorando in tal senso”, chiarisce Maddrick.
Un primo passo a livello legislativo è stato fatto già a novembre 2023 quando l’Unione Europea è diventata il primo organismo internazionale a criminalizzare i danni ambientali più gravi. La direttiva europea sarà approvata formalmente in primavera e nel preambolo del testo si legge l’intenzione di criminalizzare “reati paragonabili all’ecocidio con risultati catastrofici, come l'inquinamento diffuso o gli incendi forestali su larga scala”.
Un interesse collettivo
Oltre al movimento giuridico per rendere l’ecocidio un crimine sotto la legge internazionale, molte attiviste e attivisti nel mondo si stanno battendo per portare alla giustizia e far pagare chi sfrutta e distrugge gli ecosistemi con la propria attività inquinante.
“Non si può sostituire un ecosistema. Le compagnie inquinanti, come quelle petrolifere o minerarie, stanno rimuovendo e forzando lo sfollamento delle popolazioni indigene dalle loro terre, e queste popolazioni sono quelle che per secoli hanno protetto e tutelato la biodiversità. [Queste stesse compagnie] causano l’inquinamento dell’aria e dell’acqua. L’ecocidio distrugge le comunità”, spiega l’artista e attivista namibiana Ina Maria Shitongo a Voice Over.
Shitongo si batte contro l’ecocidio supportando campagne come quella contro la compagnia canadese ReconAfrica che, per cercare petrolio e gas nell’area dell’Okavango, tra Namibia e Botswana, minaccia la sopravvivenza della più grande popolazione di elefanti al mondo e di altre specie in via d’estinzione.
“Per me, come attivista, si tratta di esprimermi e di parlare di questa ingiustizia, perché se non parliamo e non alziamo la voce, il business as usual continuerà come sempre”, ha affermato Shitongo.
Questa è la stessa cosa che intende Broswimmer quando scrive che l’ecocidio dovrebbe essere un tema di “interesse collettivo” per gli esseri umani. Ed è per questo che deve importarci anche che fine fanno i roditori e i rospi.