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Eco-ansia
Marzo 04, 2024
Giustizia Climatica

Inquinamento, ondate di calore, eventi meteo estremi: come la crisi climatica impatta la salute mentale e cosa fare per tutelarla

Approfondimento di Stella Levantesi

Nella prima metà di febbraio 140 Paesi hanno battuto il record mensile di temperature a causa del riscaldamento globale e del fenomeno climatico detto El Niño, ha riferito il Guardian. “Il pianeta si sta riscaldando a un ritmo accelerato. Stiamo assistendo a rapidi aumenti di temperatura negli oceani, il più grande serbatoio di calore del clima”, ha dichiarato al Guardian Joel Hirschi, direttore associato della modellazione dei sistemi marini presso il Centro Nazionale di Oceanografia del Regno Unito. Un pianeta che si scalda ha conseguenze che ci riguardano molto da vicino. “Per molto tempo abbiamo parlato di cambiamenti climatici soprattutto in termini di impatto sull’ambiente. Poi abbiamo compreso quanto sia impattante anche sulla salute umana”, spiega a Voice Over Foundation Matilda van den Bosch, ricercatrice senior presso la sezione Biocities del European Forest Institute (EFI).  

Gli effetti della crisi climatica sulla salute umana sono discussi e descritti in migliaia di studi scientifici. L’aumento della temperatura superficiale del mare, l’intensità e frequenza degli eventi meteorologici estremi, la diminuzione della qualità dell’aria, la destabilizzazione dei sistemi naturali a causa dell’aumento delle emissioni di gas serra hanno impatti diretti e indiretti sulla salute umana: dall’esacerbazione delle malattie cardiovascolari e respiratorie all’esposizione a malattie infettive e alle tossine ambientali.


Crisi climatica e salute mentale: ondate di calore, inquinamento ed eventi meteorologici estremi


Tra i rischi meno comunicati della crisi climatica, ci sono gli impatti sulla salute mentale. Alcuni ricercatori concordano sul fatto che questo tipo di effetti sta accelerando rapidamente e provocando una serie di conseguenze dirette, indirette e diffuse che colpiscono in modo sproporzionato i più vulnerabili. “Studi dimostrano che i colpi di calore fanno aumentare alcuni disturbi psichiatrici, aumentano il tasso di suicidio, la rabbia, l’aggressività, riducono la coesione sociale e aumentano gli accessi al pronto soccorso”, spiega a Voice Over Foundation Matteo Innocenti, psichiatra e presidente dell’Associazione Italiana Ansia da Cambiamento Climatico.

“Tra le altre conseguenze degli effetti dei fenomeni antropici [come il cambiamento climatico] sulla salute mentale ci sono anche gli impatti del particolato o della qualità dell’aria che possono ridurre le abilità cognitive, aumentare l’ansia e la depressione e, quindi, l’uso di sostanze e, anche in questo caso, gli accessi al pronto soccorso per disturbi psicologici”, aggiunge Innocenti. L’inquinamento dell’aria ha numerose cause ma molti studi sottolineano quanto sia legato anche al cambiamento climatico. Secondo uno studio pubblicato a settembre 2023 sulla rivista scientifica The Lancet, l’inquinamento atmosferico e il cambiamento climatico sono “profondamente interconnessi” perché le “specie chimiche” che portano a un degrado della qualità dell’aria sono spesso emesse con i gas serra responsabili dell’alterazione del sistema climatico. Inoltre, condizioni climatiche più secche e calde possono portare a un elevato inquinamento atmosferico e, in particolare, a un elevato tasso di ozono. 

Recenti osservazioni sulla qualità dell’aria nella pianura Padana indicano che nel mese di gennaio si sono verificati diversi casi di superamento della soglia critica di inquinamento, stabilita dalle direttive dell’Unione Europea. “Oggi sappiamo che oltre 6 milioni e mezzo di persone muoiono ogni anno a causa dell’inquinamento atmosferico. Poterlo attribuire anche al cambiamento climatico indotto dall’uomo è ovviamente fondamentale, perché possiamo responsabilizzare i leader politici e dire ‘questo fenomeno sta davvero uccidendo le persone perché non ci sono le regolamentazioni adeguate'”, ha sottolineato van den Bosch.

L’aumento delle temperature e fenomeni come l’innalzamento del livello del mare e la siccità, inoltre, possono modificare i paesaggi naturali, interrompere le risorse alimentari e idriche, cambiare le condizioni agricole, modificare l’uso del suolo e indebolire le infrastrutture e, di conseguenza, dare origine a stress finanziario e relazionale, aumentare i rischi di violenza e aggressione e sfollare intere comunità, sottolinea uno studio pubblicato sull’International Journal of Mental Health Systems. Secondo i ricercatori dello studio, anche gli eventi meteorologici estremi, che sono più frequenti, intensi e complessi con la crisi climatica, possono scatenare il disturbo da stress post-traumatico (PTSD), gli stati depressivi e, di conseguenza, l’abuso di sostanze e l’ideazione del suicidio. In generale, un clima che cambia, concordano gli studiosi, può alimentare una sensazione di impotenza e disperazione che può contribuire a influenzare quella che Innocenti chiama “emotività ecologica”. 


Solastalgia, eco ansia ed “emotività ecologica” 


Nei casi più estremi come, per esempio, alluvioni violente che distruggono le case e modificano completamente il territorio, spiega Innocenti, le persone possono provare un senso di “solastalgia”. Nel mio libro “I bugiardi del clima” scrivo che la solastalgia nasce dalla sensazione di perdita della propria casa e del proprio territorio. Il termine viene dal latino “solatium”, “conforto”, e indica proprio il dolore di perdere il conforto del luogo in cui si vive.

Glenn Albrecht, docente di studi ambientali australiano che ha coniato il termine nei primi anni 2000, scrive che la solastalgia è “la nostalgia di casa quando sei ancora a casa”. Albrecht ha analizzato l’impatto emotivo dell’attività mineraria sugli abitanti di una regione dell’Australia e ha concluso che lo sfruttamento e il degrado compromettevano il senso di conforto che il territorio dava a chi lo abitava.

Nel tempo, il termine “solastalgia” si è diffuso per indicare la perdita di luoghi e paesaggi amati a causa della crisi climatica. Il cambiamento climatico, dunque, può funzionare da “trigger”, ovvero da fattore scatenante. Queste condizioni, poi, “possono aumentare fortemente la nostra condizione di dolore ecologico o comunque di emotività ecologica che racchiude tante emozioni”, spiega Innocenti.

L’ansia, per esempio, può aumentare di fronte a un evento climatico o una notizia drammatica, aggiunge, e può sfociare in un disturbo di panico oppure in reazioni di rabbia, “ecological grief”, una sorta di “lutto ecologico”, aggiunge. Generalmente, il termine “eco ansia” può essere utilizzato per descrivere l’ansia legata alla crisi ecologica, mentre l’espressione “ansia climatica” indica una sensazione strettamente legata al cambiamento climatico antropogenico. Secondo lAmerican Psychological Association statunitense, l’eco ansia è definita come “paura della rovina ambientale”.

“Può essere profondo e pervasivo però essenzialmente non rappresenta di per sé una malattia”, sottolinea Innocenti. Più che un disturbo è “uno stato emotivo non patologico”. “Albrecht definisce anche l’eco ansia come una sensazione pervasiva di terrore che le basi ecologiche del nostro pianeta stiano venendo meno”, sottolinea Innocenti. “Essenzialmente l’eco ansia è un’emozione che si riferisce al degrado che l’ambiente sta subendo e quindi alla perdita della componente ecologica cui il mondo sta andando incontro anche a causa del cambiamento climatico”. L’ansia, poi, si può trasformare in “eco paralisi”, una condizione nella quale “siamo completamente pervasi dalla consapevolezza sul cambiamento climatico ma la componente paralizzante dell’ansia è così grande da paralizzarci e portarci a non agire”, evidenza Innocenti.


Come combattere le ansie: dagli alberi alla mobilitazione


Per combattere queste ansie e, più in generale, l’emotività ecologica negativa, gli esperti consigliano di impegnarsi in comportamenti detti “pro-ambientali”, di fare rete e di riconnettersi con la natura. “La prima cosa da fare è assumere comportamenti pro ambientali e fare tutto quello che si può per aiutare l’ambiente. Questo aumenta il proprio senso di efficacia”, spiega Innocenti. Per aumentare il senso di “autoefficacia collettiva”, invece, dice Innocenti, è importante “fare gruppo”.

Secondo uno studio, infatti, le circostanze “disastrose” legate alla crisi ecologica possono anche “ispirare l’altruismo, la compassione, l’ottimismo e favorire un senso di significato e di crescita personale (altrimenti detta crescita post-traumatica) quando le persone si uniscono per salvare, ricostruire e consolare tra il caos e le perdite di un clima che cambia”. La connessione con la natura, infine, può aiutare a combattere gli stati di ansia per la crisi climatica. “Stare a contatto con la natura ci aiuta perché ce la fa vedere ancora per com’è e ci riposiziona un po’ sulla linea temporale”, spiega Innocenti. “Dobbiamo fare un passo indietro e mettere al centro l’ambiente e quindi anche per questo io consiglio il ‘Forest bathing’, in cui faccio fare immersioni nella natura, tra gli alberi”, aggiunge.

Secondo Innocenti, questo favorisce anche la capacità di comprendere che siamo parte di un equilibrio che si deve ristabilire e parte integrante dell’ambiente. Il filosofo Timothy Morton ha scritto che se cominci a pensare alla biosfera, quindi anche “all’ambiente” come a una testa che sogna, ti accorgerai che tutto in quella biosfera è sintomo ed espressione della biosfera stessa. Non c’è un fuori. Questo significa essere ecologicamente consapevoli, scrive.


Soluzioni e co-benefici per la salute e il clima 


L’immersione nella natura aiuta la nostra salute anche a livello chimico. Numerosi studi dimostrano che stare nelle foreste o tra gli alberi riduce gli ormoni legati allo stress, il cortisolo e l’adrenalina. L’esposizione agli alberi e alle foreste, infatti, ha effetti positivi sulla salute umana: rafforza il sistema immunitario, abbassa la pressione sanguigna, riduce lo stress, migliora l’umore, aumenta la capacità di concentrazione, accelera il recupero da interventi chirurgici o malattie, aumenta il livello di energia e migliora il sonno. Si potrebbe dire, quindi, che le foreste hanno proprietà ansiolitiche e antidepressive, sottolinea Innocenti.

Anche nelle città gli alberi possono offrire sostegno. “Prima di tutto, ovviamente, gli alberi ombreggiano quindi diminuiscono il calore e, anche attraverso la traspirazione, gli alberi possono ridurre la temperatura, anche fino a sei o sette gradi, il che è abbastanza significativo”, spiega van den Bosch. “Gli alberi lavorano anche per mitigare, il che significa fondamentalmente che sono dei pozzi di carbonio, quindi possono avere un impatto diretto sull’assorbimento delle emissioni di gas serra che poi, in modo circolare, contribuisce anche ai benefici per la salute”.

Infatti, così come la comunanza tra l’inquinamento atmosferico e le emissioni di gas serra significa che gli interventi per affrontare l’uno provocheranno generalmente cambiamenti nell’altro, alcuni studi dimostrano che anche soluzioni per la crisi climatica possono produrre dei cosiddetti “co-benefici” anche per la salute. Secondo lo studio su The Lancet menzionato in precedenza, per esempio, la riduzione della produzione di combustibili fossili riduce le emissioni di anidride carbonica, di ossidi di azoto e di particolato e polveri sottili. E anche gli alberi possono funzionare come soluzione che produce co-benefici.

“Sappiamo che le persone che utilizzano gli alberi dalle finestre hanno una salute mentale migliore. In uno studio a cui ho lavorato in Catalogna, in Spagna, durante il lockdown, per esempio, abbiamo visto che c’era un forte rischio, 2,5 volte più alto, di depressione grave se non si era esposti agli alberi”, spiega van den Bosch.

Secondo la ricercatrice dell’EFI, infatti, creare “infrastrutture verdi” nelle città è una componente fondamentale tra le soluzioni disponibili sia per gli impatti della crisi climatica che per la salute. “Ma è difficile individuare una soluzione su altre ed è importante agire su più livelli”, aggiunge. Anche perché, sottolinea, “dipende dal contesto, quindi ciò che funziona in un posto potrebbe non funzionare in un altro”. Una delle questioni principali da tenere a mente, infatti, quando si parla di soluzioni come queste, dice van den Bosch, è la diseguaglianza socio economica nelle aree urbane. “Ci sono aree delle città che tendono a essere più disagiate, dove vivono persone con un reddito e un’istruzione più bassi, e che sono a maggior rischio di malattie e di impatti negativi a causa del cambiamento climatico”.  

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