Aprile 04, 2023
Giustizia Climatica
Dove la speranza non arriva, arriva l’attivismo
Le voci di Maria Letizia Ruello e Michela Spina intervistate da Michela Grasso, SPAGHETTIPOLITICS
Le voci di Maria Letizia Ruello, ricercatrice e portavoce di Ultima Generazione, e Michela Spina, studentessa di medicina veterinaria e portavoce di Fridays for Future.
D: Perché c’è bisogno dei movimenti climatici?
MLR: «Ci sono tanti tipi di movimenti climatici, e tutti si organizzano con diversa modalità. I movimenti esistono perché le persone sentono il bisogno di attivarsi per risolvere un problema, e in questo momento ci troviamo a fronteggiare il problema dei problemi. Per questo, c'è necessità che le persone si attivino in tutte le varie forme in cui è possibile attivarsi e c'è bisogno che queste diverse modalità siano tra loro collegate, per poter collegare tutti. Tutte le modalità di attivazione sono necessarie, più o meno simpatiche, più o meno impattanti, più o meno di massa. Ma c'è bisogno di tutte per raggiungere il successo, senza necessariamente dire di chi sia il merito. Non ci sarà nessuno che potrà dire di aver vinto, se non vinciamo tutti insieme».
MS: «Diciamo che senza i movimenti climatici, forse andrebbe tutto peggio. L’attivismo è una delle poche cose positive in questo mondo. La crisi climatica non interessa solo un settore, o solo l’ambiente o solo la nostra sopravvivenza. Spiegare perché i movimenti climatici sono importanti è personale come risposta. Magari, io vedo la questione climatica più in maniera transfemminista rispetto a qualcun altro, quindi per me, lottare per il clima equivale a lottare per una leadership femminile. Oppure, la lotta climatica può essere vista nell’ottica di supportare le popolazioni indigene, e quindi legarsi a questioni di intersezionalità. È fondamentale e automatico avvicinarsi all'attivismo nel momento in cui si hanno determinati saperi critici che ci permettono di aprire un po’ di più gli occhi. I movimenti per il clima possono creare spazi come assemblee, cortei e presidi, aperti a queste conversazioni e riflessioni. Qui nascono opportunitá di confronto su problemi e soluzioni, che in qualche modo possono aiutarci a risolvere i nostri dubbi. Aggiungo che è anche bello partecipare, perché ogni volta ci si scopre rispetto a se stessi. Sono molto cambiata durante il mio percorso di attivismo. E credo che l'attivismo si possa anche fare per sentirsi meglio con noi stessi. Non ovviamente solo in un’ottica “egoistica”, ma anche questo aspetto va preso in considerazione. Stare meglio con sé stessi, facendo bene agli altri. L’attivismo diventa uno scambio reciproco, il bello é anche scendere in piazza, incontrarsi. Da quando faccio attivismo ho conosciuto tante persone che mi hanno dato tanto, e spero di aver trasmesso anche io qualcosa a loro, idee, pensieri..»
D: Maria Letizia, vi considerate un movimento di speranza o di denuncia?
MLR: «Una speranza serve per attivarsi. Ma al tempo stesso la speranza può essere una fregatura. Si può pensare: “Eh sì, adesso faccio questo e le cose andranno un po’ meglio e spero che chi governa capisca.”, “Non è possibile che siano tutti così cattivi… se non fanno niente vuol dire che il problema non c'è.” Questo tipo di speranza non ti fa reagire. Ci sono due speranze; una molto insidiosa, ed è quella che io chiamo negazionismo soft. È molto pericoloso perché il negazionismo vero, quello brutale alla Bolsonaro o alla Trump, lo riconosciamo, lo condanniamo, lo contrastiamo… il negazionismo soft è quello di chi pensa che, comportandosi bene, facendo la raccolta differenziata, firmando la petizione, andando a ripulire la spiaggia dalla plastica si risolvano le cose. Purtroppo, vista la particolarità della crisi data dallo sconvolgimento del clima, queste non sono azioni sufficienti. E in questa situazione non fare abbastanza equivale a non fare nulla. Abbiamo questa previsione, molto probabilmente vera, che ci dice che l'obiettivo è di restare nei limiti di un 1,5° di aumento delle temperature, ma ce lo siamo già scordato. Sentendo questo dato, le persone si chiedono, ma in fondo cosa sará? 1 ,5°? Persino a me é successo di pensarlo, pur avendo una preparazione scientifica. 1,5° significa un innalzamento della temperatura media su tutta la crosta terrestre e gli oceani.. Immaginiamoci in certe zone della terra, cosa sarà? Sarà più 8°! Ma cosa significherà questo? La morte. Certo. Ecco quindi la speranza ha questa doppia lama…».
D: Come si educa al cambiamento climatico?
MS: «Non c'è un modo di educare qualcuno al cambiamento climatico. Il percorso di attivazione nei confronti del problema della crisi climatica è molto personale. Noi diciamo sempre che per iniziare a fare attivismo in maniera critica e cosciente, il primo step è informarsi. Non si tratta tanto di educare, ma di auto formarsi. Attraverso siti riconosciuti come può essere la IPCC oppure anche il Centro Euro Mediterraneo per i cambiamenti climatici CMCC, o testate giornalistiche di stampo scientifico. In Italia, i media fanno un lavoro pessimo nei confronti della crisi climatica. Per esempio, ci sono giornali sponsorizzati da multinazionali del fossile, come Eni, la prima inquinatrice italiana, fra le prime a livello mondiale. Informarsi diventa più complesso perché l’informazione non é libera. Per questo, bisogna imparare a capire come e dove informarsi. Noi organizziamo alcune formazioni in cui chiamiamo anche altri movimenti, ad esempio nell'ultima formazione di Torino, un tavolo che mi ha colpita è stato quello di Survival, un'organizzazione a difesa delle popolazioni indigene che racconta realtà semi sconosciute. Per esempio, quando pensiamo una foresta o ad un ambiente naturale, ci immaginiamo la flora, la fauna presente in assenza dell'uomo, cosa che in realtà è sbagliata, perché le popolazioni indigene sono presenti e sono loro che detengono e proteggono il patrimonio di biodiversità presente in quella zona. Eppure diversi articoli e documentari che parlano di natura e ambiente, non fanno presente questa cosa. In questo modo, aumenta il distacco che sentiamo tra uomo e natura. È importante creare un immaginario collettivo sui problemi, sulle soluzioni e su come dovremmo attivarci. Non è una cosa che succede dall'oggi al domani e non è una cosa che succede perché siamo noi ad andare nelle scuole o perché organizziamo i Climate Camps. Eppure questi momenti di aggregazione sono importantissimi e fondamentali, soprattutto dal momento in cui le persone sentono la necessità di partecipare. Noi cerchiamo di dare una visione collettiva del fatto che la crisi climatica non è semplicemente il fatto che si fondano i ghiacciai, ma che il fondersi dei ghiacciai porta alla sommersione di Jakarta, ai migranti climatici, alla povertà, alla siccità, alle crisi idriche e altre conseguenze. Parliamo anche di politica, per esempio le ragioni dietro alla creazione di un Ministero della Sovranità alimentare. Nel momento in cui si inizia a parlare di queste cose, si mette in moto qualcosa, e lì parte anche la speranza, soprattutto quando si capisce che le soluzioni ci sono. Il punto fondamentale é: riuscire a uscire dal paradigma del profitto come fine unico della nostra esistenza».
MLR: «Ultima Generazione si pone un target più ampio. Secondo noi si deve parlare di eventi concreti che le persone possono toccare con mano. Per esempio: Venezia andrà sott’acqua. Oppure, parlando della siccità del Po e degli effetti sull’agricoltura, con 1 su 4 frutti persi, e dei contadini che si rubavano l’acqua a vicenda. Altrimenti, evidenziando come le nostre tasse finanzino le compagnie del fossile, finanziando dunque la nostra morte. Più di 40 miliardi dei nostri soldi finiscono, ogni anno, nei finanziamenti di ricerche e investimenti, che ci faranno del male perché non ci portano verso energie rinnovabili e verso la vera sovranità energetica dell'Italia. Cosa vuol dire sovranità energetica? Essere un hub di distribuzione di gas verso il nord europa? No. La sovranità energetica è nell'energia rinnovabile, che non stiamo finanziando abbastanza ma continuiamo ad essere sesto paese al mondo, più della Russia, a dare soldi all’energia fossile».
D: Quando qualcuno critica Ultima Generazione e il suo modus operandi, come si può rispondere?
MLR: «Non ci sarebbe quasi bisogno di rispondere. Indignarsi per quindici minuti di ritardo nel traffico? Che a Roma, senza attivisti seduti per terra, capita comunque? Ti stai indignando per un po’ di tinta lavabile? Secondo me la maggior parte delle persone lo capisce. È godibilissima la scenetta dell’attivista che lancia la vernice, e quel cittadino che se la prende con lei. E magari quella persona non ha mai detto niente contro le trivellazioni che stanno rovinando l’ambiente spendendo i nostri soldi per una nuvoletta di metano che, anche quando sarà estratto tutto, non equivarrá nemmeno a un anno del fabbisogno italiano di gas?».
D: Come va riformato il lavoro per combattere la crisi climatica?
MS: «Fare attivismo è anche una questione di privilegio, così come la critica al capitalismo. Dedicarsi alla politica è un privilegio perché significa impegnare il proprio tempo per qualcosa che frutta per la comunità e per la popolazione e non per se stessi. Se non si è in uno status che permette di dedicarsi a queste attivitá, non si ha il tempo di diventare attivisti. Noi vogliamo ribadire l’importanza di avere la stessa retribuzione ma con meno ore lavorative, dividere il lavoro tra più persone per diminuire il tasso di disoccupazione involontaria. Esperimenti simili sono già stati portati avanti, questo ci dimostra che possiamo farlo, per creare un vantaggio economico e personale. Avere più tempo libero, potrebbe invogliare più persone a interessarsi alla politica e all’attivismo. Alcuni settori sono più difficili da riformare e impiegherebbero più tempo per la transizione lavorativa, per altri sarebbe più semplice».
D: Hai dei suggerimenti per combattere l’eco-ansia?
MS: «Ognuno combatte a suo modo l’ansia che lo perseguita, dovendo fare i conti con il fatto che il capitalismo non verrà abbattuto domani, così come il patriarcato, lo specismo o il razzismo. È impossibile liberarsi da queste cose in un solo giorno. Crearsi un percorso politico personale e gratificante può aiutare. Scendere in piazza, fare sensibilizzazione e anche cercare di condurre una vita individuale che sia compatibile con uno stile di vita meno impattante: evitando la fast fashion, eliminando la carne dalla propria alimentazione etc.. Però sappiamo anche che queste azioni non sono fondamentali, l'azione deve essere collettiva altrimenti avremmo gia risolto tutti questi problemi. A me personalmente ha aiutato attivarmi a livello politico, ho cambiato il mio modo di vedere le cose e questo mi ha aiutata a guardare avanti. Rendendomi conto che non sono sola, ma c'è un’intera comunità che si attiva collettivamente per far rumore dove prima c’era silenzio, aiutando altre persone ad attivarsi.Questo ha creato molta più tranquillità dentro di me».
MLR: «Personalmente gestisco l'ansia attivandomi; altre persone la gestiscono con comportamenti individuali e purtroppo quello è un modo che si sfalda facilmente. Bisognerebbe farlo capire, non per togliergli il loro benessere, ma per fare azioni che siano realmente efficaci. Considerando che quattro ore di volo di un jet equivalgono alle emissioni che una persona fa in un anno … l’azione individuale ha i suoi limiti».
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