Novembre 29, 2023
Giustizia Climatica
COP 28, università, campionati sportivi e musei: così le compagnie di gas e petrolio ingannano i cittadini per continuare il business dell’inquinamento
Approfondimento di Stella Levantesi
Ferrari, i mondiali di rugby 2023, il museo della scienza di Londra, Sanremo e l’NBA. Cos’hanno in comune queste cinque cose? Sono tutte sponsorizzate da una o più compagnie di petrolio e gas. Dal mondo dello sport a quello dell’arte, dagli eventi culturali a quelli accademici o istituzionali, le sponsorizzazioni fossili sono onnipresenti a livello globale e, su tutto, strategiche.
“[Le compagnie fossili] vogliono farci credere che stanno restituendo qualcosa alla società. È un modo per farci accettare l'attività inquinante e i loro profitti, per dire 'stanno facendo male di qua ma anche un po' di bene di là", spiega a Voice Over Foundation Duncan Meisel, direttore della campagna Clean Creatives dell’organizzazione Fossil Free Media.
Una licenza sociale per sopravvivere
Secondo Meisel, le sponsorizzazioni del settore fossile hanno molti elementi in comune con l’attività pubblicitaria. “La maggior parte della pubblicità [delle compagnie fossili] è destinata allo sviluppo e all’accrescimento della loro reputazione. Ed è ciò che fanno anche molte di queste sponsorizzazioni. Sono allineate attorno all’idea di un’azienda ‘responsabile’ che fa affari responsabili, mentre in realtà è vero il contrario”, continua Meisel.
Pur avendo caratteristiche simili alle pubblicità, le sponsorizzazioni fossili hanno soprattutto a che fare con la promozione di un’associazione positiva. “Si tratta di associarsi a cose che piacciono alle persone o che possono donare credibilità [all’azienda]. Perché sponsorizzo un campionato di calcio? Perché alla gente piace il calcio. Perché sponsorizzo i negoziati sul clima delle Nazioni Unite? Perché mi fa sembrare impegnato per il clima e mi permette di ‘avvolgermi’ nei colori della bandiera dell’ONU”, chiarisce a Voice Over Pascoe Sabido, ricercatore e campaigner dell’organizzazione Corporate Europe Observatory.
Le sponsorizzazioni sono strumentali anche perché, attraverso di esse, le compagnie di oil and gas si assicurano che “le persone vadano a lavorare per loro,” ha specificato Sabido.
Secondo il ricercatore, le sponsorizzazioni nascondono ancora un altro tema: l’accesso ai livelli decisionali. “Credo che ci sia un elemento molto importante che spesso viene trascurato, ovvero che si tratta di una grande opportunità di lobbying. Per esempio, se sponsorizzo una coppa del mondo e ho delle tribune a disposizione per la finale o per la semifinale, posso invitare chi voglio. È qui che avviene gran parte dell’influenza. Gran parte del meccanismo [delle sponsorizzazioni] è una sorta di ‘soft lobbying’, potremmo definirlo così”, dice. Infatti, le compagnie di petrolio e gas spendono enormi quantità di denaro sulle sponsorizzazioni proprio perché attraverso di esse acquistano legittimità. “Si tratta di fornire una licenza sociale e di mostrarsi come un’azienda ‘buona’”, sottolinea Sabido.
Cop 28 e l’influenza di oil & gas
La strategia di acquistare legittimità sociale non è legata soltanto alla reputazione o all’immagine, è cruciale alla sopravvivenza stessa dell’industria. “L’obiettivo di un’azienda produttrice di combustibili fossili oggi è quello di continuare a trivellare, trasportare e bruciare combustibili fossili il più a lungo possibile. Queste aziende hanno un modello di business legato all’inquinamento e il loro [obiettivo] è quello di estendere la durata di questo modello di business” spiega Meisel. “Quindi, quando sponsorizzano eventi come la conferenza sul clima delle Nazioni Unite, stanno cercando di guadagnare tempo per il loro modello di business inquinante, promuovendo l’idea di essere parte della soluzione, in modo che i regolatori e gli altri attori si muovano il più lentamente possibile nel limitare la loro capacità di inquinare a lungo termine”.
Nel 2022, alla conferenza sul clima delle Nazioni Unite, conosciuta come Cop27 e tenutasi A Sharm-el-Sheik, in Egitto, 18 su 20 delle aziende sponsor hanno collaborato con o hanno sostenuto direttamente compagnie di petrolio e gas, secondo un’analisi di Corporate Europe Observatory e dell’organizzazione Corporate Accountability con sede a Boston.
Quest’anno, tra gli sponsor e partner della Cop28 che avrà luogo a partire dal 30 novembre a Dubai, sono presenti alcune di quelle stesse aziende, come Siemens, IBM e Microsoft. Tra questi ci sono anche due banche, HSBC e Bank of America, considerate tra i maggiori investitori mondiali dell’oil & gas e che, tra il 2016 e il 2022, hanno speso rispettivamente più di 144 miliardi e oltre 279 miliardi di dollari nel fossile.
Inoltre, la maggior parte delle aziende che sponsorizzano la Cop a Dubai non si sono impegnate a ridurre le proprie emissioni di gas serra in linea con gli obiettivi climatici globali, secondo una recente analisi.
Anche la scelta del sultano Ahmed Al Jaber, amministratore delegato della compagnia di petrolio degli Emirati Arabi Uniti, ADNOC, come presidente della Cop28 ha sollevato moltissime critiche. Secondo un’analisi di Global Witness ci vorrebbero 343 anni per catturare le emissioni di CO2 che la compagnia di Al Jaber produrrà nei prossimi soli sei anni.
Una recente inchiesta del Centre for Climate Reporting, poi, ha rivelato attraverso documenti interni fatti trapelare da un whistleblower che Al Jaber ha usato il proprio ruolo nella Cop per promuovere gli interessi della sua compagnia negli incontri con governi esteri al fine di aumentare le esportazioni di combustibili fossili di Adnoc.
“La Cop28 è in uno Stato petrolifero. L’anno scorso era in Egitto. Questo è il risultato di decenni di presenza dell’industria del petrolio e del gas nelle conferenze del clima”. Non si tratta solo del fatto che Al Jaber sia a capo di una compagnia petrolifera. Naturalmente, questo dà un livello superiore di accesso e di capacità di definire l’agenda quando l’ADNOC è, letteralmente, al posto di guida. Ma si tratta di un fenomeno globale. L’intero settore ha sfruttato queste ultime due Cop per tornare [ad avere il controllo sui temi] all’ordine del giorno e ripulire la propria immagine”, ribadisce Sabido.
L’influenza e la presenza dell’industria fossile sui processi decisionali globali sull’azione per il clima non si ferma alle sponsorizzazioni. La società di consulenza McKinsey & Company sta usando la sua posizione di consulente alla Cop28 per promuovere gli interessi dei suoi clienti nel settore del petrolio e del gas, secondo alcuni documenti trapelati.
Negli ultimi vent’anni, i delegati vicini alle più grandi aziende di gas e petrolio e ai loro gruppi commerciali hanno partecipato almeno 7200 volte alle conferenze delle Nazioni Unite sul clima, secondo un’analisi della campagna Kick Big Polluters Out. I lobbisti delle associazioni di categoria che rappresentano le maggiori compagnie di combustibili fossili al mondo hanno partecipato alle Cop almeno 6581 volte. Secondo l’analisi, questi gruppi hanno usato la loro presenza alle Cop per fare pressioni a favore degli interessi del fossile. L’International Emissions Trading Association (IETA), per esempio, fondata tra gli altri da Exxon, Chevron e BP, ha ottenuto almeno 2769 ‘pass’ per partecipare alle conferenze sul clima dal 2003.
“Non credo che l’opinione pubblica abbia ben chiaro quanto siano irresponsabili la maggior parte delle aziende produttrici di combustibili fossili. Credo che questo scollamento porti a tutti i tipi di risultati negativi che ritardano l’azione normativa e, in definitiva, inganna il pubblico. Questo è il problema principale. Se la gente non capisce la natura del problema e chi ne è responsabile non si può sostenere una soluzione efficace”, dice Meisel. “Avere un gruppo di rappresentanti dell’industria petrolifera alla conferenza sul clima delle Nazioni Unite è chiaramente un problema centrale. La cosa si ripercuote su tutto, ma il fulcro è un tipo di comunicazione fuorviante”.
L’effetto “aureola”, dal tabacco al fossile
Le aziende dell’oil&gas si agganciano al campionato sportivo, all’evento musicale, alla mostra d’arte anche perché, attraverso di esse, alimentano “l’effetto aureola” dell’azienda. In maniera simile, questo avviene anche attraverso gli accordi delle aziende con università, centri di ricerca o istituti accademici. In Italia, Eni intrattiene “collaborazioni” con una decina di università, centri di ricerca e istituzioni accademiche in tutto il Paese. Secondo un recente rapporto di Greenpeace Italia e ReCommon, la compagnia “estende la sua influenza anche sulle scuole secondarie superiori e sulle università pubbliche italiane” attraverso formazione di docenti e studenti - anche sul tema dei cambiamenti climatici - tirocini curriculari, “career days”, finanziamento e acquisto di ricerche e brevetti, e partenariati nell’organizzazione di master e corsi di laurea. A ottobre 2022, Marco Grasso, autore e professore di geografia politica all'Università degli Studi di Milano-Bicocca, si è dimesso dal suo incarico di direttore di un'unità di ricerca dell’università a causa della partnership dell'istituzione accademica con Eni.
Negli Stati Uniti, le aziende produttrici di combustibili fossili hanno una storia decennale di sponsorizzazione di materiali didattici per influenzare i programmi di studio delle scuole elementari, superiori e delle università. Le compagnie petrolifere hanno usato queste tattiche fin dagli anni ‘20 “per plasmare il modo in cui i ragazzi americani pensano alla società, all’economia e all’ambiente”, riferisce Drilled, podcast d’inchiesta sul clima della giornalista Amy Westervelt.
“La collaborazione con un’istituzione accademica può anche portare allo sviluppo di risultati di ricerca favorevoli all’azienda e può servire a più scopi, oltre che alla reputazione,” ha detto Meisel. Secondo Sabido, questo tipo di accordi aiutano a produrre “prove credibili a proprio favore”. “Il punto centrale del mondo accademico è che dovrebbe essere neutrale. Così [con questi accordi] sembra che tu stia producendo una ricerca indipendente quando in realtà stai producendo materiali che sostengono la tua tesi. Fornisce quella patina accademica che non è possibile ottenere altrimenti. Per esempio, se Shell produce un risultato scientifico, la gente dice: ‘Beh, certo che Shell lo direbbe’. Mentre se lo dice un’università, la si prende molto più seriamente”, ha aggiunto.
Queste strategie, tra sponsorizzazioni e partnership accademico-scientifiche, non sono un’idea nuova dell’industria fossile. Come altre tattiche delle compagnie di gas e petrolio, anche queste seguono le tracce dell’industria di tabacco che, per decenni, ha avuto al centro di sponsorizzazioni sportive, culturali e educative, brand come Philip Morris o British American Tobacco.
“Se si guarda a ciò che ha fatto l’industria del tabacco, è esattamente lo stesso schema. Basta guardare le università statunitensi in generale che nuotano nel denaro delle aziende. E questo permette non solo di plasmare il mondo accademico, ma anche di promuovere e far accettare la ‘licenza sociale’. Perché se sei all’interno di un’università che produce cose buone, anche se non ha nulla a che fare con l’azienda, ma produce cose buone, ti si associa a questo”, ha evidenziato Sabido.
Passi in avanti per soluzioni sistemiche
Il percorso delle strategie dell’industria del tabacco è cruciale perché è quello che gli esperti stanno utilizzando per regolamentare lo spazio delle pubblicità, delle sponsorizzazioni e degli accordi di partnership del settore fossile con il mondo accademico.
“Credo che ci sia un grande lavoro da portare avanti, prima di tutto per denunciare il fenomeno e poi per reagire e assicurarsi che le università ne prendano le distanze. Ma procedere università per università o evento sportivo per evento sportivo sarà davvero lento e difficile. Per questo si deve tornare alla lobby del tabacco, al modo in cui è stata affrontata,” ha detto Sabido.
A livello europeo, per esempio, sono stati introdotti divieti e regolamentazioni alle pubblicità e sponsorizzazioni del settore del tabacco. Ma “vale la pena riconoscere anche il grande lavoro svolto finora”, in ambito fossile, precisa Sabido, dalle campagne di disinvestimento fossile nei campus universitari di tutto il mondo alle campagne per interrompere i legami tra l’industria fossile e alcuni musei e gallerie d’arte.
“Non si tratta solo di attaccare la BP o la Shell, ma di trovare una soluzione sistemica a questo problema e di assicurarci di poter includere tutte le compagnie e i lobbisti dei combustibili fossili. Ad essere onesti, il problema è più grande dell'industria dei combustibili fossili”, ha evidenziato Sabido, “Il pianeta è stato fregato da molte aziende [inquinanti]. E tutte lavorano per garantire che i loro profitti vengano prima della salute del pianeta e delle persone che lo abitano”.