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ultima generazione
Marzo 23, 2023
Giustizia Climatica

Reati senza colpevoli: la vernice lavabile scandalizza più della crisi climatica e dei disastri ambientali fatti dalle imprese in Italia

Approfondimento di Sara Manisera, FADA collective

Diciamolo chiaro: in Italia c'è un problema con le priorità e le emergenze. La reazione del Sindaco di Firenze Dario Nardella davanti all’azione non violenta e dimostrativa di Ultima Generazione a Palazzo Vecchio - qui trovate un breve riassunto - è esemplificativa del distacco tra politica italiana, sistema economico e crisi climatica. In questi decenni, poche sono state le reazioni di fronte ai disastri ambientali fatti da aziende private e compagnie a partecipazione pubblica, quindi rappresentate dalla classe politica. Eppure ce ne sarebbero di contaminazioni e inquinamenti per cui bisognerebbe arrabbiarsi e indignarsi davvero.  


Basti pensare alla raffineria di Eni a Gela, al polo petrolchimico ad Augusta, Melilli, Priolo, oppure Taranto con l’Ilva, Piombino con la centrale termoelettrica Enel e la discarica industriale di rifiuti pericolosi. E poi Casale Monferrato con la ditta Eternit, la Terra dei Fuochi tra la provincia di Napoli e Caserta, riempita di rifiuti tossici e non, arrivati da tutta Italia per decenni. E poi Brescia con le sue cave e il disastro ecologico lasciato dall’azienda chimica Caffaro con arsenico e mercurio nei terreni e nelle falde acquifere. E ancora il centro oli Eni nella Val d’Agri, in Basilicata, o la contaminazione da PFAS che ha interessato mezzo Veneto tra la Miteni e il distretto della concia sviluppato tra le province di Vicenza, Padova e Verona; includendo la falda, la seconda più grande d’Europa. Oppure, rimanendo a Firenze, i rifiuti tossici delle concerie che finiscono sotto il manto stradale con la presunta alleanza strategica della ‘Ndrangheta.  


Come mai nessuno si indigna per casi come questi dai danni perenni e incalcolabili che saranno ereditati dalle prossime due, tre, quattro generazioni? 

Quanto vale una falda acquifera persa per sempre? 

E centinaia di chilometri di suoli non più fertili? 

Questi danni ambientali permanenti non sono forse più gravi di una vernice lavabile? 


La lista potrebbe andare avanti ancora a lungo ma ci fermiamo ad alcuni dei disastri ambientali e sanitari più tristemente noti. In questi anni, migliaia di persone e di lavoratori si sono ammalati. Migliaia si ammaleranno nel futuro. Ma queste sono considerate “non vittime”. 


Nel linguaggio accademico, infatti, i reati ambientali sono considerati “reati senza vittime” perché è difficile dimostrare la relazione causa-effetto sul singolo individuo, vista la diffusione su larga scala dei fattori di rischio e del carattere multifattoriale delle patologie. Eppure, sia a livello fattuale, che scientifico, sono ormai incontestabili i dati relativi all’impatto che le aggressioni all’ambiente producono sulla salute umana (1). L’esistenza di danni in termini di mortalità e di morbilità, ovvero la frequenza di una malattia in una data collettività, è incontrovertibilmente dimostrata da numerosi studi epidemiologici


Mentre i dati e le ricerche sulla relazione tra inquinamento e salute pubblica proliferano; le responsabilità, i risarcimenti danni e la giustizia ambientale sembrano del tutto assenti dal dibattito pubblico. Il paradosso, infatti, è la difficoltà a dimostrare a livello giudiziario, la correlazione tra attività industriale, inquinamento e malattie. In molti casi citati mancano studi epidemiologici, registri tumore, i reati sono caduti in prescrizione e altri sono stati inseriti nel codice penale solo di recente (basti pensare al delitto contro l’ambiente, legge n°68 del 2015).


Si parla dunque di “reati senza vittime” ma bisognerebbe parlare anche di “reati senza responsabili”. Il perché è facile spiegarlo. L’aggressione violenta avvenuta negli ultimi cinquant’anni contro l’ambiente e la salute delle persone è stata portata avanti da pezzi dell’economia, attraverso veri e propri reati di impresa, grazie a fenomeni corruttivi e a una saldatura con mafie e criminalità ambientale. In altre parole, pezzi dell’economia di questo Paese e non solo in Italia - imprese, multinazionali, partecipate pubbliche - hanno potuto crescere e fare profitto, grazie alla distruzione sistemica dell’ambiente e della salute dei cittadini. 


Per una logica di profitto e di risparmio - e per l’assenza di norme e di una percezione dell’urgenza - i costi d’impresa sono stati scaricati interamente sull’ambiente e sui cittadini, invece di essere pagati dall’impresa stessa. Che cosa vuol dire esattamente? Vuol dire che in una società basata solo sulla crescita infinita e sul PIL come unico valore di benessere, le esternalità negative o positive di un’impresa non vengono mai calcolate dal sistema economico. 


Prendiamo l’esempio di un chilo di pane. Quanto fa stare bene alla collettività un pane fatto con grani coltivati in modo biologico, a livello locale, da contadini che tutelano i suoli, le falde acquifere e che assumono persone svantaggiate nelle loro imprese? Quel pane ha solo un valore economico fatto di costi e ricavi oppure ha un valore più grande in termini di tutela dell’ambiente, delle falde acquifere e della salute dei cittadini? 

Quanto, invece, costa alla collettività un pane fatto con grano diserbato coltivato in monocultura, proveniente dal Canada o Ucraina, trasportato su enormi navi che rilasciano quantità immense di anidride carbonica nell’atmosfera? Nel prezzo di questo pane, fatto grazie a economie di scala, quindi abbattendo i costi di produzione, non viene mai calcolato l’impatto negativo, ovvero l’inquinamento dell’aria e dell’acqua, la perdita dei suoli e l’aumento dei costi sanitari che, nel lungo periodo, ricadono sul servizio sanitario nazionale, quindi sui cittadini. 

È proprio da qui, dunque, che bisognerebbe ripartire. Dal sistema economico e dal valore, non di mercato - fatto di domanda, offerta e speculazioni - ma dal valore di cura di un determinato bene, prodotto, servizio. 


I dati, ormai, parlano chiaro. Bisogna agire e pure in fretta. L’ultimo rapporto del Gruppo intergovernativo di esperti sul cambiamento climatico (IPCC) ribadisce che il cambiamento climatico sta causando e causerà danni diffusi e sostanziali in quasi ogni aspetto della vita umana su questo pianeta, che gli impatti sulle generazioni future dipendono dalle scelte che facciamo ora e che questi impatti colpiscono già la nostra salute, le nostre fonti di cibo e la nostra acqua. Servono, pertanto, scelte politiche radicali e veloci. 


Ma in Italia la politica pensa alla vernice lavabile, al rinnovo dei sussidi pubblici alle fonti fossili - pagati con le nostre tasse - al ponte sullo stretto e ad altre decisioni sciagurate che continuano a favorire quel tipo di economia criminale: un’economia dove i guadagni entrano nelle tasche di pochi e i costi sociali e ambientali vengono pagati dalla collettività. Se c’è qualcosa per cui bisogna indignarsi è proprio questo tipo di economia. 



(1)  Si vedano, ad esempio, le pubblicazioni dell’Organizzazione Mondiale della Sanità in tema di Environmental burden of disease, che stimano l’impatto dei rischi ambientali, compresi quelli derivanti da inquinamento, sulla salute umana; sempre a titolo esemplificativo, si vedano i rapporti annuali dell’Agenzia Europea dell’Ambiente aventi ad oggetto l’impatto dell’inquinamento atmosferico sulla salute. 




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