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Luglio 07, 2021
DIRITTI UMANI

IL DIRITTO AL VIAGGIO È PRIVILEGIO DI POCHI (RICCHI)

Approfondimento di Sara Manisera, FADA Collective

L'articolo 13 della Dichiarazione Universale dei diritti umani, adottata dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite il 10 dicembre 1948, afferma che "ogni individuo ha diritto alla libertà di movimento e di residenza entro i confini di ogni Stato e ogni individuo ha diritto di lasciare qualsiasi paese, incluso il proprio, e di ritornare nel proprio paese". Il diritto di lasciare un paese, tuttavia, comprende il diritto di ottenere i necessari documenti al viaggio, ovvero visti e passaporti. Le barriere politiche e burocratiche che gli stati impongono all'esercizio di questo diritto sono tuttavia infinite e vanno dalle normative in materia di cittadinanza e immigrazione che ignorano il paradigma dei diritti umani, alle lungaggini e agli ostruzionismi perpetrati in numerosi stati all'interno di ambasciate, consolati, uffici di polizia. La materia è resa difficile e complicata da un peccato d'origine: la nascita. La libera circolazione del proprio corpo dipende, infatti, dalla nazionalità del passaporto. 

L'azienda Arton Capital ha elaborato il passport index, dove ogni passaporto è analizzato e classificato secondo la sua possibilità di viaggio e alla facilità di ottenere un visto. Il prestigio del passaporto dipende dal numero di paesi in cui si può entrare senza visto o dove, per ottenerlo, è abbastanza semplice. I passaporti europei sono tra i più privilegiati perché consentono di viaggiare quasi ovunque senza limitazioni. La Siria, invece, è al 197esimo posto, preceduta solo da Iraq, Afghanistan e seguita da Somalia, Yemen, Iran, Palestina e Pakistan. Ciò significa che i cittadini in possesso di questi passaporti non possono viaggiare in quasi nessun paese.


In realtà, non è proprio così. L'azienda Henley & Partners, fondata nel 1997 a Londra da Christian Kälin e Juerg Steffen offre servizi di "pianificazione della residenza e della cittadinanza" a migliaia di persone facoltose. In altre parole, la società londinese funge da intermediario tra i super-ricchi e i paesi che vendono la cittadinanza. Vuoi la cittadinanza in Austria? Investi 3 milioni di euro e sarà tua. A Malta, invece, il contributo minimo richiesto è di 1 milione di euro, e così via. Ciò significa che le elites politico-economiche di determinati Stati, il più delle volte responsabili dell'instabilità degli stessi Paesi e della conseguente migrazione dei cittadini, possono acquistare la cittadinanza e acquisire il diritto al viaggio e al movimento. 


Viaggiare, dunque, è un privilegio per pochi ricchi. La libera circolazione del proprio corpo dipende sì dalla nazionalità del passaporto ma anche da quanto si è ricchi. In questo sistema di apartheid globale della mobilità, si produce ciò che il filosofo della morale Joseph Carens definisce "l'equivalente moderno del privilegio feudale (...), uno status che si eredita e che aumenta in modo significativo le possibilità della vita di una persona". 


Il diritto al viaggio, al movimento e a spostarsi deve ritornare, invece, al centro del dibattito pubblico e deve essere considerato come un diritto universale, non come privilegio di pochi. Bisogna ripensare alla politica dei visti - lavorativi, sanitari, turistici, di studio - e allargare i ricongiungimenti familiari. Bisogna sostenere, promuovere e finanziare i corridoi umanitari e immaginarsi una governance globale, una collaborazione internazionale per le migrazioni, oltre che per l'ambiente. 


Nonostante i muri, i confini, le regole sull'immigrazione, l'esternalizzazione delle frontiere e i centri detentivi affidati a partner e regimi corrotti (basti pensare in Libia, Niger o Turchia), il movimento di migliaia di persone non si è mai frenato negli anni e non si arresterà nel futuro. Le persone continueranno a rivendicare il diritto di spostarsi, per educare i propri figli, per curare una malattia, per migliorare la propria vita, per scappare da un conflitto o da una regione desertificata. E anche se il prezzo da pagare è alto, lo faranno lo stesso. 


Senza altra possibilità di viaggio legale, l'unica soluzione è affidarsi alla rete di smugglers e trafficanti. Ma in un sistema di "libero mercato" in cui vige la legge della domanda e dell'offerta, quanto si arricchiscono le organizzazioni criminali per offrire un servizio a chi vuole spostarsi? L'Ufficio delle Nazioni Unite per il controllo della droga e la prevenzione del crimine (UNODC), stima che 2,5 milioni di migranti siano stati contrabbandati nel 2016, con profitti - sottostimati - che arrivano ai trafficanti pari a 5,9 miliardi di euro.  


L'Unione Europea, nel periodo 2021-2027, intende destinare 30,8 miliardi di euro per la sicurezza delle frontiere e per aumentare il corpo permanente delle guardie di Frontex a 10.000 unità. Altre misure dell'UE includono: la rimozione delle navi di salvataggio dalla frontiera più mortale del mondo, il Mar Mediterraneo, dove oltre 33.000 persone - si stima - sono morte annegate dal 2014, a favore dei droni di sorveglianza. 


Come è possibile che tutti questi soldi siano spesi per frenare la migrazione? Come è possibile che un abuso del genere si sia così normalizzato? 


Le alternative ai muri, al protezionismo e a questa miope ossessione per i confini, esistono. Bisogna, però, ribaltare la narrazione e il nostro pensiero, uscendo da un nazionalismo ristretto e iniziare a ragionare in termini di appartenenza al pianeta terra, la casa di tutti. Solo così si potrà affrontare una discussione politica sul diritto universale al viaggio, al diritto a spostarsi e a cercare la propria felicità in un altro posto del mondo.



Per approfondire: 

https://irpimedia.irpi.eu/goldenvisa-italia-paperoni-del-mondo/ 

https://www.mediterraneanhope.com/corridoi-umanitari/

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