Febbraio 16, 2023
BLACKNESS
Ho studiato per suonare per le persone: la musica e l’impegno civile di Ian Elly Ssali Kiggundu
La voce di Ian Elly Ssali Kiggundu, intervistato da Sara Manisera, FADA Collective
Blackn[è]ss fest è il primo festival che propone una rielaborazione dell’universo afrodiscendente in Italia. Eventi e tavole rotonde per riflettere sul concetto di nerezza, secondo un percorso di decolonizzazione del linguaggio e per discutere di temi come gli effetti sulla salute mentale della profilazione razziale, la discriminazione, il razzismo ma anche la musica, il cinema, i media e la rappresentazione.
Voice Over Foundation ha scelto di accompagnare il festival in questo percorso e di raccontarlo per tutto l’anno, attraverso le voci di chi ne è protagonista.
Intervista a Ian Elly Ssali Kiggundu, pianista italiano.
D: Ti puoi presentare, chi sei e di cosa ti occupi?
R: Io sono Ian Elly Ssali Kiggundu, sono un pianista in movimento. Oltre al piano, insegno privatamente inglese, sto finendo i miei studi in giurisprudenza e mi sto specializzando in diritto spaziale. Sono molto coinvolto nelle questioni legate alla società civile perché non ci si può sottrarre al miglioramento della società in cui si vive. Per molto tempo mi sono impegnato per la riforma della legge sulla cittadinanza con la Rete G2 Seconde Generazioni e poi con altre associazioni. Tutto questo caleidoscopio di interessi sono stati la mia bussola e la mia stella polare, perché credo sia importante impegnarsi per migliorare la società e contribuire a renderla più giusta.
D: Parliamo del Blackn[è]ss fest e perché è importante uno spazio come questo in Italia?
R: Sono stato molto contento di essere stato invitato a questo festival. È stata una bella esperienza e ho potuto suonare davanti a persone nere. Attenzione, non mi considero Bipoc (Black, Indigenous, and people of color ndr) però sono stato contento di aver potuto dare qualcosa a questa comunità, una comunità non solo di neri ma di italiani tra italiani. A me importava dare questo messaggio. Inoltre, suonare il pianoforte in quello spazio era importante per far passare l’idea che il piano non è uno strumento elitario. Suonare la musica è una cosa per tutti. Uno dei pezzi che ho scelto, come "I’m troubled in mind" (Samuel Coleridge-Taylor ndr), era un brano che gli afroamericani cantavano quando erano sotto il giogo delle leggi razziali del 1800 ed è interessante perché il razzismo già causava traumi alla salute mentale in quell’epoca. I dolori sono sempre quelli ed è ovvio che il razzismo colpisce soprattutto le persone nere ma credo sia importante ribadire che ogni forma di disumanizzazione crei un trauma. La musica può certamente diventare uno strumento politico e portare un messaggio ma dipende dalla persona e dall’artista. Il mio primo gesto politico è salire sul palco con un bel vestito fatto in Sud Africa, con gli spartiti musicali all’interno di una borsa fatta da una mia amica italiana di origine etiope che vive a Pisa… ecco mi piace essere questo, coinvolgere tutte queste cose.
D: Come hai incontrato la musica, cosa vuol dire farla in Italia? Quali sono le difficoltà?
R: In Italia è difficile farsi valere perché la musica non viene vissuta come un’esperienza. Siamo molto più abituati a consumarla, senza distinzioni di genere. La difficoltà è riuscire a trasformarlo in un lavoro, c’è una grande corsa al ribasso che parte dagli stessi lavoratori e questo è un problema. Inoltre c’è un grande accentramento di potere nella musica “colta”. Se vai a Parigi o in Cina è molto diverso, ci sono tante generazioni che ascoltano musica classica anche di ceti sociali diversi. In Italia ascoltare musica classica è legata alla classe sociale ed è diventato un vezzo prettamente borghese. Inoltre, anche nella chiesa cattolica si ascolta poca buona musica a differenza della tradizione protestante. La musica è l’introduzione al mistero, se manca quella anche i sentimenti sono un po’ superficiali.
D: Secondo te il Blackness Fest è uno spazio di creazione di comunità o è più uno spazio di scambio di rabbia, di gioie e dolori? Come si mettono insieme tante anime?
R: Iniziamo a dire che quando sei in una condizione di minoranza, inizi ad essere assuefatto da determinati pensieri a cui difficilmente riesci ad opporti e questo genera poi una sorta di conflitto. Quando prendi coscienza di te stesso e inizi a distinguerti con più chiarezza rispetto alla maggioranza, lì esce la rabbia perché è come se ti iniziassi a vedere allo specchio per la prima volta. Penso che molti prendano spunto anche dal mondo afroamericano ma questo ha un’altra storia. In Italia ti confronti con un Paese che è estremamente intelligente, in Italia ci sono saperi profondi e molta conoscenza ma con un enorme provincialismo, dove sei accettato nella comunità ma con le sue regole. Io ad esempio sono italiano ma non sono solo questo. Invece in Italia prendono solo quello che gli va bene e buttano via il resto. Io capisco molto bene la rabbia delle persone razzializzate ma credo sia necessaria anche una via di compromesso, o meglio di fusione però capisco che per tanti sia difficile.
D: Come evitare che la nerezza diventi un brand e che si riproducano più divisioni?
R: Penso che sia fondamentale rivendicare il proprio diritto ad essere uomini o donne libere. Io non agisco perché qualcuno mi percepisce nero però credo che oggi essere neri sia già diventata una “classe”, dove le persone viste in quel modo sono chiamate a comportarsi in determinati modi. Questa, tuttavia, non è una libertà. Io voglio agire come una persona libera, dove la nerezza subisce le percezioni ma io non mi comporto da nero. Io ho la mia tradizione culturale molto forte, quella ugandese e italiana e in base a queste due sponde culturali mi muovo. I miei amici non li considero bianchi, come io non mi considero solo nero, poi certo c’è la supremazia bianca ma, in generale, penso sia importante capire che si è molto più dell’essere bianco o nero. Decidi di fare delle cose non perché sei bianco o nero ma perché credi in quei valori, anche perché il ragionamento bianco-nero rischia di dividere le forze del bene. Ciò non significa smettere di denunciare ma le categorie esasperate rischiano di dividere. C’è un termine che mi piace ed è “trascendere”: ciò che è passato non può essere corretto, possiamo solo prenderlo e portarlo in avanti, migliorandolo.
D: Quali sono i tuoi progetti nel futuro?
R: Continuerò a suonare per la gente perché ho studiato per suonare per la gente. Il Fantino-Ssali Piano Duo con la pianista Chiara Fantino è un percorso che stiamo facendo per coinvolgere sempre più persone. Dobbiamo fare cose che ci emozionano e spingere verso questa direzione, essere entusiasti e felici e la musica è un’esigenza dello spirito. È un’esigenza essere tristi, gioiosi, maestosi, colossali.. e oggi c’è bisogno di tutto.