Giugno 08, 2022
BLACKNESS
Creare spazi culturali non eurocentrici è un modo per dire: noi esistiamo e siamo presenti
La voce di Ismael Pacheco, intervistato da Sara Manisera, FADA Collective
Blackn[è]ss fest è il primo festival in Italia che propone una rielaborazione dell'universo afrodiscendente in Italia. Eventi e tavole rotonde per riflettere sul concetto di nerezza, secondo un percorso di decolonizzazione del linguaggio e per discutere di temi come gli effetti sulla salute mentale della profilazione razziale, la discriminazione, il razzismo ma anche la musica, il cinema, i media e la rappresentazione.
Voice Over Foundation ha scelto di accompagnare il festival in questo percorso e di raccontarlo per tutto l'anno, attraverso le voci di chi ne è protagonista.
Intervista a Ismael Pacheco, artista e dj, co-curatore della seconda edizione del Blackn[è]ss fest.
D: Ti puoi presentare, chi sei e di cosa ti occupi?
Sono Ismael Pacheco, ho 29 anni, sono nato a Quito in Ecuador e cresciuto in Italia in provincia di Milano. Lavoro nel mondo della musica, della cultura, faccio il dj. Dopo aver studiato Scienze sociali ho intrapreso gli studi al Conservatorio di Milano poi ho deciso di fermarmi con l'università perché il mondo accademico non mi dava le risposte che cercavo. Ho iniziato, così, a creare eventi e a far parte di gruppi come il collettivo Kiriku o Camera Oscura, promuovendo sperimentazioni in ambito audio, visivo ed elettronico. Sono due progetti che danno spazi a giovani artisti in crescita e che creano una sorta di rete in cui si parla di musica, di libri, di film partendo da un nostro punto di vista. In Kirykou siamo infatti tutte persone con un background migratorio e qui riusciamo a dare un punto di vista che non sia solo eurocentrico. Ognuno di noi, durante il nostro percorso di vita, ha visto che non c'erano risposte e spazi che potessero offrire un'offerta culturale più vicina alla nostra; per questo gli eventi musicali e i dj set in cui partecipo provano a riflettere su questo bisogno.
D: Che tipo di musica promuovi nello specifico?
Cerco di creare una narrazione di suoni, partendo da un genere per finire ad un altro, sviluppando un percorso musicale in cui le persone si possano unire. Generalmente si tratta di suoni dall'America Latina, andini ma anche afrodiscendenti, per esempio la cumbia è un mix delle due cose. Lì vado a inserire altri generi, ad esempio la musica elettronica fatta intorno al mondo negli ultimi vent'anni, provando così a creare un contenuto fruibile e portando in giro queste sperimentazioni. La musica mi permette di ricercare e costruire ponti tra le persone. L'idea è quella di unire, di creare una narrazione di una globalità, di un'umanità che è sempre esistita.
D: Perché hai sentito l'esigenza di creare degli spazi?
Pensare di fruire della musica all'interno della night life milanese non è così scontato. Ci sono eventi dove un certo tipo di persone si sentono a loro agio mentre per altre non è così. Che pubblico frequenta certi posti? Quanto sono accessibili agli altri? Ci sono fattori sociali, culturali, economici da considerare, per esempio andare a ballare latino americano può essere diverso tra il centro e la periferia. Oppure quanto costa la serata? Quali sono le idee di chi la organizza? A che modello rispondono? Puoi anche organizzare la serata latino americana ma poi chi c'è dentro? Per chi è stata creata? Ecco quando si parla di spazi mi riferisco anche a questo, alla scarsità di spazi pensati per persone che hanno anche un background migratorio. E io come tanti altri abbiamo sentito l'esigenza di crearci i nostri spazi. Non c'erano spazi e ce li siamo creati. Con Camera Oscura c'era la necessità di avere uno spazio all'interno di un ambiente culturale milanese e di attirare chi avesse curiosità. Con Kirykou c'era l'esigenza di andare ancora più a fondo, di ragionare sulla multiculturalità e di affermarsi. Organizzare un evento in cui suonano Dj razzializzati o avere persone non bianche che presentano libri ad un pubblico con discendenza straniera non è scontato in Italia. Significa affermarsi, ribadire di essere presenti perché in genere nelle narrazioni mainstream non si è presenti, se non per parlare male di noi. È un modo per affermarsi, è marcare la propria posizione, io ci sono e vivo questo presente.
D: Come hai incontrato la musica?
L'ho incontrata tardi, alle scuole elementari e medie ho avuto professori che non mi hanno mai stimolato. Ero da poco arrivato in Italia e non conoscevo bene la lingua e incontrare certi tipi di professori non ha aiutato. L'incontro vero con la musica è avvenuto dopo, quando si è diffuso un movimento di musica elettronica e sono usciti software di produzione musicale accessibili, diciamo alla fine delle superiori. Poi ho scelto di iscrivermi a Scienze sociali perché mi sono sempre interessati aspetti filosofici legati all'umanità. Il salto di coraggio l'ho fatto dopo iscrivendomi al Conservatorio.
D: E il festival Blackn[è]ss?
Sono stato contattato da Ariam Tekle per partecipare alla prima edizione come artista. All'inizio ero un po' in difficoltà perché pensavo che la mia presenza fosse sbagliata poi ho capito che era un festival nato per offrire uno spazio, delle storie e delle narrazioni che partono dal concetto di nerezza ma non solo, perché ci sono persone razzializzate come me, visibilmente "stranieri" ma non neri. Trovo importante questo festival dal punto di vista storico perché fin'ora le offerte culturali, legate ad altri continenti non erano rivolte a persone che venissero da questi luoghi o che avessero altre origini. In genere si parla di Asia, Africa o di America Latina ma non parlano mai alle persone che potrebbero essere direttamente interessate, né il pubblico è composto da persone di diverse origini. È un festival sulla nerezza che vuole parlare alle persone nere e razzializzate, non esclude nessuno ma pensa alle sfumature. Al festival ho anche scoperto che cosa fossero le residenze artistiche. Non ne sapevo niente, non è così scontato, se non stai dentro una rete artistica. Anche la semplice informazione o la conoscenza di spazi dipende dalla classe sociale e dalle reti di cui una persona fa parte.
D: Progetti futuri?
Vorrei continuare a portare avanti il messaggio di multiculturalità attraverso i suoni, far scattare processi mentali e culturali affinché si crei terreno fertile e cose nuove in Italia. La ricerca continua che faccio con la musica è l'unione di più elementi, indigeni, afrodiscendenti, i due pilastri su cui si è formata tutta la musica latino americana e con questi due elementi provo a creare un linguaggio che unisca le persone.
Photo credits: Matteo Varisco